E così Romano Prodi si è scusato con la giornalista di Mediaset Lavinia Orefici con cui aveva avuto un battibecco sul manifesto di Ventotene. Un atto doveroso, specie se inserito nel pessimo clima che si respira in Italia circa gli attacchi verbali e legali nei confronti dei giornalisti da parte della politica. Ora però come la mettiamo con Giovanni Donzelli, esponente di primissimo piano di Fratelli d’Italia, che riferendosi al giornalista Giacomo Salvini ha detto “Io non parlo se c’è quel pezzo di m….?”. In questo caso non c’è traccia di scuse ed è il segno che quella frase non è stata l’involontaria uscita dovuta al nervosismo, bensì una precisa scelta, volta ad offendere Salvini e tutta l’informazione italiana. E poi c’è il deputato della Lega Antonio Angelucci, che la scorsa estate in risposta ad alcune legittime domande del giornalista del Fatto, Marco Lanari, disse: “”ma vattene affan…ma fatti i c… tuoi, ma vai a lavorare!”. Non risultano scuse, ma forse potrebbero essere sfuggite. Nel caso specifico di Angelucci c’è un’aggravante (chiamiamola così per brevità) in quanto oltre ad essere un parlamentare della Repubblica, nonché famosissimo imprenditore della sanità, è anche editore di tre quotidiani, Libero, Il Tempo e Il Giornale. Dunque si potrebbe pensare che Angelucci ha uno strano concetto del lavoro giornalistico, pur facendo parte di quel mondo e credendo nel valore dei giornali (avendone tre) e dei giornalisti. Sullo stesso solco si muove la seconda carica dello Stato, il Presidente della Repubblica, Ignazio Larussa, che da anni ormai attacca brutalmente con insulti e denigrazioni palesi Paolo Berizzi. Lo fa ogni volta che può e non ha mai sentito il dovere di chiedere scusa. Berizzi è sotto scorta per le minacce ricevute dalle frange emergenti (a tratti persino dilaganti) di neofascisti e neonazisti. E forse pure questo ha un senso.
Il cliché è si ripete con l’ex generale Roberto Vannacci, eurodeputato, che non perde occasione per attaccare il giornalista di Repubblica Matteo Pucciarelli, che per primo ha fatto emergere i contenuti reazionari e discriminatori del libro “Il mondo al contrario”. Per oltre quaranta volte Vannacci ha “ringraziato” Pucciarelli, mettendolo, di fatto nel mirino di una intera schiera di odiatori seriali e seguaci di Vannacci medesimo. Vannacci naturalmente non ha mai chiesto scusa, né, a dire il vero, ha ricevuto sollecitazioni in tal senso.
Ancora più pesanti le affermazioni della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, pronunciate sul palco di Atreju e rivolte a Roberto Saviano, definito “guru dell’antimafia” e uno che ha fatto i soldi con una fiction milionaria. Lo scrittore campano è sotto scorta da quando è arrivata la minaccia in un’aula di giustizia da parte del clan dei casalesi e il processo per quella plateale intimidazione non è stato ancora chiuso in via definitiva per i continui rinvii. La premier non ha ritenuto di chiedere scusa e anzi le sue parole sono state riprese sui social da haters che hanno continuato ad attaccare Saviano.
Nel frattempo una folla di ministri e parlamentari continua a querelare i giornalisti, Guido Crosetto ne è il capofila per la vera e propria “caccia” alle fonti scatenata contro Il Domani e le plurime azioni legali messe in campo quale reazione agli articoli che mettevano in luce i suoi conflitti di interesse. Di scuse nemmeno a parlarne, anche quando questo tipo di azioni ha spinto l’Italia al primo posto in Europa per tentativi del potere di comprimere l’informazione (dati dello scorso anno).
Nei giorni scorsi a questo campionario si è aggiunto il sottosegretario Alfredo Mantovano che ha ammesso (dopo plurime smentite del Governo) che il sistema di spionaggio Paragon è stato utilizzato su richiesta del Governo per motivi di sicurezza. Chi nelle settimane precedenti aveva affermato il contrario davanti al Parlamento italiano non ha (ancora) chiesto scusa.
E intanto a Cosenza il giornalista Gabriele Carchidi è stato fermato brutalmente dalla polizia. Non era mai accaduto prima e il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, non ha sentito il bisogno di scusarsi. E il direttore di Report, Sigfrido Ranucci, ha rivelato in un evento sulla libertà di espressione a Bruxelles, che il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, ha usato i servizi segreti per spiarlo. Invece di scusarsi, Fazzolari ha annunciato azioni legali.
In più: nessuno ha chiesto scusa per non aver ancora approvato la legge di abolizione del carcere per i giornalisti, tuttora applicato in Italia nonostante una chiarissima sentenza della Corte Costituzione; nessuno chiede scusa perché la legge di riforma sulla diffamazione è bloccata né perché si sta approvando un ddl che impone ai giornalisti di rivelare le fonti, stante la legge professionale che invece assicura il segreto e alla vigilia della entrata in vigore del Media Freedom Act, che stabilisce la tutela della fonti dei giornalisti.
Questo lungo elenco, purtroppo, è incompleto. Mancano le storie di decine di giornalisti che in tutta Italia vengono derisi, minacciati, denunciati da consiglieri comunali, assessori, presidenti di provincia, “disturbati” da cronache fedeli del Paese più oscuro, corrotto e borioso.
Chiediamo scusa, ma perché queste altre scuse non arrivano?
(Nella foto Giovanni Donzelli)