Dai tentativi di censura subiti da Fabiana Pacella alla riforma dell’Ordine dei Giornalisti. Il Festival del Giornalismo di Verona propone un talk in materia in sinergia con gli omologhi di Ronchi dei Legionari e Siena.
di Donato Cafarelli*
L’ultima giornata del Festival del Giornalismo di Verona 2025, domenica 16 marzo, si è aperta con il talk sulla censura nel mondo del giornalismo e sul passaggio da “verità” a “post-verità”. Fucina Culturale Machiavelli ha ospitato i giornalisti Fabiana Pacella, Paolo Cosseddu e Giovanna Romano.
L’incontro ha marcato il rinnovato legame tra il Festival del Giornalismo di Verona, organizzato da Heraldo, e quello di Ronchi dei Legionari (Gorizia), organizzato dall’associazione “Leali delle Notizie”. Il suo presidente, il giornalista Luca Perrino, in apertura dell’incontro odierno da lui moderato ha annunciato le date della prossima edizione: «Quest’anno si terrà dal 10 al 15 giugno per l’undicesima edizione. Quello che abbiamo sempre voluto praticare è fare rete con realtà come la vostra, solo così possiamo dare qualcosa di più al pubblico e offrire incontri di qualità».
A questa sinergia si affianca la collaborazione tra la rassegna veronese e l’omologo Festival del Giornalismo di Siena, organizzato dall’associazione dei giornalisti Gruppo Stampa Autonomo Siena, presieduta da Giovanna Romano che ha invitato alla quarta edizione dell’evento che si svolgerà dal 5 al 7 giugno.
Il talk, prima di affrontare il tema della censura, si è soffermato sul valore della verità nella società odierna, partendo dalla citazione del New York Times “La verità è morta, ma l’assassino non è ancora stato trovato”. «Non è morta, tutti la vogliamo ma fa paura se tocca il nostro orticello» esordisce Pacella, che aggiunge «Ce la fanno scrivere sempre? Per la mia esperienza personale, no».
Sul tema Cosseddu e Romano tracciano il quadro italiano ed in particolare quello della Rai. Se per Cosseddu «avessimo fatto questo incontro l’anno scorso ne avremmo parlato in termini diversi per gli episodi come la situazione in Rai, l’agitazione interna a Repubblica, il tentativo di acquisizione di AGI e l’intervento di Scurati cancellato», Romano osserva che «Quando Renzi ha fatto la riforma introducendo il controllo dell’esecutivo sulla Rai era nel suo interesse e adesso non piace più perché lo sta sfruttando la Meloni. Non c’è stata mai però una mano così pesante in Rai».
Si entra quindi nel merito della censura, portata avanti anche attraverso querele intimidatorie che creano secondo Romano «una pressione continua che mette in dubbio la professionalità». Fabiana Pacella ha raccontato al pubblico presente dei numerosi casi in cui hanno tentato di censurarla per il suo lavoro nel documentare gli illeciti mafiosi in Puglia: «La nostra è una guerra fatta di battaglie quotidiane. Il nostro è un sistema, come tutti, distorto. Mi hanno chiesto di bloccare alcuni articoli. Avevo scoperto flussi di denaro di milioni di euro che il direttore mi ha detto essere “non una notizia”. Allora ti metti un dubbio. Scrissi a Report e Milena Gabanelli mi rispose “Vuoi fare un servizio?”. Il servizio fu pure sequestrato, con i Carabinieri che arrivarono nella sede del Corriere della Sera».
Pacella racconta di come di fronte a queste situazioni i colleghi stessi si sono allontanati e solo le persone comuni, i lettori, chi la conosceva davvero le ha dato una mano. Nel tentativo di silenziare le sue inchieste sono arrivate anche minacce alla sua famiglia e questo – ci tiene a specificare la giornalista nominata Cavaliere al Merito dell’Ordine della Repubblica Italiana nel 2024 – non l’hanno fatto i mafiosi ma i pubblici amministratori collusi: «Difficile adesso che ammazzino un giornalista in Italia. Non ti ammazzano ma ti isolano. Abbiamo una grande responsabilità da riscoprire, forse questo mestiere si fa con troppa leggerezza con le spalle coperte da testate potenti. Il giornalismo libero c’è. Siamo quelli che vanno a scavare e provano a rendere un servizio pubblico dal valore etico altissimo e che dobbiamo riscoprire».
Sempre parlando del «sistema distorto», Romano fa invece il punto della situazione sulla riforma dell’Ordine dei Giornalisti, tema che – secondo la giornalista senese – la politica italiana non vuole affrontare. Rispetto al testo proposto dall’Ordine, Romano solleva però una critica: «Non sono d’accorda sull’obbligo del titolo di laurea. In una prima versione c’erano solo alcune lauree ammesse, questo non è possibile. Se ho una laurea in medicina c’è necessità di un esperto del settore che possa scriverne.
A non aiutare l’avanzamento della riforma per Romano pesa il fatto che i giornalisti non sono una lobby: «C’è una frammentazione alta all’interno dell’Ordine. Nel consiglio di disciplina il 90% degli esposti arriva da altri giornalisti non dai lettori. È una guerra fratricida che non ci rende qualificati nel confronto con le istituzioni».
La conclusione di Cosseddu è forse pessimistica, ma ben fotografa la situazione del giornalismo italiano – e non solo – alla luce delle osservazioni emerse dal panel: «Siamo un po’ come i dinosauri e iniziano a veder nevicare e pensano che domani forse farà bello, ben oltre la situazione d’emergenza. C’è stata un’accelerazione drammatica negli ultimi mesi. La prima fase è stata la creazione di un’informazione alternativa, la seconda quella di renderla principale, la terza è quella di cancellare quella che era principale una volta, che è quello che sta facendo Trump».