Il 2 marzo il sito della televisione svizzera ha fatto un po’ di conti. E ha calcolato che in soli 40 giorni dall’insediamento del 20 gennaio Donald Trump aveva firmato ben 79 Ordini Esecutivi, un numero che non si vedeva dal 1937 e che ha eguagliato quelli emessi da Biden in un intero anno. Ma come va letta questa frenesia, questa “bulimia dell’editto”? La prima considerazione è di tipo costituzionale: questi Ordini non esprimono propositi o intenzioni, sono provvedimenti che hanno forza di legge senza dover però passare dall’approvazione del Congresso. Certo le due Camere potrebbero rivendicare, almeno su alcune materie, le proprie prerogative, ma sono controllate dal partito del Presidente e dunque sostanzialmente tacciono. Qualcuno ha anche osservato che probabilmente molti deputati e senatori appartenenti alla maggioranza repubblicana hanno letteralmente paura. Trump controlla la base del partito, il suo movimento Maga (in italiano Rifare Grande l’America) domina le piazze conservatrici, mettersi contro può essere politicamente rischioso. Fatto sta che si registra un accentramento del potere nelle mani dell’Esecutivo che fa tornare alla mente precedenti storici infausti e che accentua quanto peraltro accade pure in democrazie come la nostra dove si legifera a suon di decreti e voti di fiducia. Ma c’è un ulteriore elemento che va colto e che invece sfugge a chi segue distrattamente l’argomento. Nell’agire apparentemente folle di Trump ci sono un chiaro disegno e un metodo altrettanto definito. Cominciamo da quest’ultima questione. Negli Stati Uniti la libertà di informazione è costituzionalmente tutelata e i media hanno una tradizione di indipendenza dal potere esecutivo, sono addirittura considerati delle “istituzioni” fondamentali per la vita democratica. Le cose stanno così quantomeno in teoria perché il peso delle lobby lì si fa sentire pesantemente. Fatto sta che, durante il suo primo mandato da Presidente dal 2016 al 2020, “The Donald” (soprannome per oscure ragioni molto usato in Italia) ha “sofferto” parecchio per le critiche ricevute da televisioni e giornali. Li ha identificati come una forza di opposizione facendone un bersaglio costante delle sue invettive. A quel tempo Steve Bannon, una delle menti più luciferine e inquietanti della galassia conservatrice, aveva proposto di neutralizzare la funzione di controllo dei media sommergendoli di letame (uso un eufemismo). E come? Sfornando quotidianamente un rullo continuo di provvedimenti, annunci legislativi, notizie false, mezze verità, slogan, trovate che mandassero in cortocircuito il sistema politico mediatico. Questo perché è impossibile organizzare un lavoro di chiarificazione e di denuncia se ogni giorno c’è un nuovo proclama, una nuova sparata da inseguire. E non è esattamente quanto sta avvenendo ora, nel 2025? Insieme ai “decreti legge” emessi a raffica da Trump ci sono state in queste settimane le dichiarazioni sulla “conquista” della Groenlandia o di Panama, gli insulti al Canada, le battute contro questo o quel leader politico, le sceneggiate para naziste con le braccia tese di Elon Musk e dello stesso Bannon. E’ una precisa strategia che chi non analizza la fondamentale funzione politica della comunicazione televisiva e social del nostro tempo non comprende, ma che invece per il momento sta dando ottimi risultati. D’altronde possiamo avvertire il problema pure noi seguendo i nostri talk show che sono totalmente prigionieri di questa ”logica dell’evento” dal momento che inseguono “alla disperata” l’argomento del giorno in una caotica sovrapposizione di messaggi dove alla fine non capisce più nulla nessuno.
Chi resta allora in campo per arginare la “deriva imperiale” di questa presidenza? In attesa di un risveglio dei parlamentari e di risposte giornalistiche efficaci sicuramente rimangono il potere giudiziario, i giudici federali, la stessa Corte Suprema che, pur dominata dai conservatori, non pare incline a supportare tutte le brutali iniziative di Trump. E poi ci sono i Governatori degli Stati amministrati dai democratici. Loro hanno strumenti per rivendicare autonomia e contrastare in concreto misure che ritengono contrarie agli interessi delle loro comunità. La partita non è chiusa insomma. Anche perché (da ultimo ma di grande importanza) sul consenso del presidente affarista incombe il giudizio del “tribunale dell’economia”. Se le cose andassero male, crescesse l’inflazione, crollerebbe il sostegno popolare con effetti imprevedibili.
Detto questo, dopo aver parlato del metodo che c’è nell’apparente follia dell’uomo oggi più potente del mondo, dobbiamo descriverne il disegno. Anche qui non c’è nulla di improvvisato, di dilettantesco. Per capirlo bisogna leggere un libro che trovate pure in Italia.. Si chiama “Progetto 2025”. Se non avete la forza di affrontare tutte le 181 pagine forse può bastarvi la copertina. Letteralmente c’è scritto: “Leadership autoritaria: l’appello conservatore della Heritage Foundation per una seconda amministrazione Trump. La visione strategica per trasformare il governo, garantire
la libertà e costruire una Nazione più forte”. Non è una pubblicazione come le altre, è un documento (nella versione originale ben più ponderoso, 922 pagine scaricabili in Rete in inglese) frutto della collaborazione di una galassia di organizzazioni della destra americana, finanziato con decine di milioni di dollari. E qual è il punto politico programmatico più rilevante? Lo smantellamento dello Stato Federale, delle sue Agenzie, dal sociale, all’ambiente, alla istruzione, agli aiuti internazionali con l’eliminazione, attraverso delle vere e proprie “purghe”, di tutti i funzionari e dipendenti che possano essere di ostacolo alla “leadership autoritaria”, praticamente la demolizione del settore pubblico a vantaggio di quello privato. Riflettiamoci un attimo: questo significa che già da oltre due anni era descritto nero su bianco il lavoro principale che sta facendo adesso l’amministrazione repubblicana in queste prime settimane di attività. Altro che improvvisazione o follia.
E nella notte del 4 marzo c’è stata l’apoteosi, la celebrazione trionfale del personaggio cui è stata affidata la missione di effettuare questo repulisti. Ci riferiamo a Elon Musk, al momento in cui il Presidente eletto, durante il suo chilometrico discorso sullo Stato dell’Unione, ha chiamato i congressisti all’applauso per lui, l’uomo più ricco del mondo, cui è stato assegnato il coordinamento del DOGE, il nuovo Dipartimento per l’Efficienza Governativa. In Rete trovate decine di video che immortalano la scena: Elon ( presente in Aula, incredibilmente in giacca e cravatta) in piedi che si inchina fra l’imbarazzato e il compiaciuto, i parlamentari repubblicani che si spellano le mani per omaggiare chi sta di fatto togliendo il lavoro a molti dei loro elettori, mentre sullo sfondo si sente qualche fischio in arrivo dai democratici. Qui non abbiamo lo spazio per affrontare tutte le incredibili contraddizioni e opacità che ruotano intorno a questo Dipartimento che, pur non previsto dall’ordinamento, gode di enormi poteri avendo accesso a tutte le banche dati ministeriali, licenzia o manda lettere minatorie ai pubblici funzionari. I conflitti di interessi si sprecano: al proprietario di un social network come X, di aziende spaziali, automobilistiche, robotiche, è stato assegnato il compito di smantellare quello Stato Federale che peraltro finanzia molte sue attività. Ciliegina sulla torta, il dipartimento si chiama DOGE non a caso perché ha assunto di fatto il nome della criptovaluta ( DogeCoin) che lo stesso Musk sponsorizza.
Non capiremmo però granché di quanto sta accadendo se non considerassimo che Musk ha speso molto tempo e tantissimo denaro a sostegno dell’elezione di Trump. Ha presidiato per più di un mese la Pennsylvania, il più popoloso degli Stati in bilico, ha sostenuto la campagna repubblicana investendo l’incredibile cifra di 300 milioni di dollari. Il ritorno per lui è stato semplicemente spettacolare, il suo patrimonio azionario è cresciuto enormemente dopo le elezioni: ha speso milioni, ha incassato miliardi.
Che cosa ha capito Elon? Ha avvertito, in anticipo rispetto agli altri oligarchi del settore tecnologico, che era il momento di sfruttare il potere mediatico per occupare uno spazio politico lasciato vuoto dalla crisi dei partiti, dalle lacerazioni della democrazia americana. Ha compreso che cavalcando il “vento di destra” avrebbe potuto fare non soltanto ottimi affari ma pure un “salto di qualità”. Si è trasformato così, tramite i suoi messaggi e video su X rilanciati dai media in ogni parte del mondo, in una sorta di influencer globale. E’ veramente convinto delle tesi che sostiene? Qui le opinioni divergono, sicuramente la sua megalomania visionaria gioca un ruolo di primo piano. Dicono che ai progetti di trasformazione dell’umano realizzata impiantando chip nei cervelli e nella parallela “conquista” di Marte creda veramente. Ma il punto politico è un altro. Ha deciso di attaccare la sinistra ovunque e comunque e di sostenere a spada tratta l’estrema destra perché è lì che trova l’ammirazione totale per l’uomo forte e perché movimenti come l’Afd ( i neonazisti tedeschi) sostengono la sua visione di un mondo privatizzato, che abbandoni lo stato sociale.
Restano un paio di domande. Quanto potrà durare il sodalizio fra Trump e Musk? Non mi sbilancio in previsioni, dico solo che fino a oggi due si sono dimostrati assolutamente “complementari”.Il Presidente fa appello alle nostalgie degli americani, a un mitico ritorno alle grandezze del passato. Elon parla ai più giovani, vende la promessa di un futuro dove le tecnologie nelle mani di imprenditori svincolati da normative e obblighi di legge risolveranno tutto. I due si sono sostenuti a vicenda insomma. Questo non vuol dire che non possano deflagrare anche nel breve periodo alcune contraddizioni visibili già oggi. La più evidente riguarda gli altri componenti dell’amministrazione repubblicana che intendono salvaguardare le proprie prerogative, non accettano i super poteri di Musk. E poi ci sono i soldi, il business, i profitti. Ai puristi del primato della politica sembrerà blasfemo ma con un presidente miliardario e un braccio destro cento volte più miliardario di lui, l’andamento degli affari conterà tantissimo. Prendete il futuro della Tesla, l’azienda che produce auto elettriche, cassaforte azionaria di Musk. Già ora le vendite stanno registrando un calo marcato un po’ ovunque a cominciare dall’Europa. Le persone che compravano questi costosi veicoli non amano certo la svolta fossile dell’attuale presidenza USA. E poi le spudorate ingerenze di Musk nella vita politica delle democrazie europee non paiono suscitare entusiasmi popolari. Da noi lui piace solo alla corte dei Salvini e Meloni anche se lei, davanti alle uscite più imbarazzanti, furbescamente adotta la consueta tattica del silenzio. E la sinistra cosa dovrebbe fare? La risposta è evidente: sostenere vigorosamente lo Stato Sociale in tutte le sue forme appoggiando chi dal basso già oggi sta facendo sentire la propria voce Ci vogliono investimenti per ospedali, scuole, salario minimo, diritti di cittadinanza, altro che droni, missili e carri armati, tanto amati da finanza e opinionisti.