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Quattro anni dal delitto Attanasio, nessuna verità per l’ambasciatore, il carabiniere Iacovacci e l’autista Milambo

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Repubblica democratica del Congo, 22 febbraio 2021, l’ambasciatore Luca Attanasio, accompagnato dal carabiniere Vittorio Iacovacci, è in viaggio da Goma verso Rutshuru con un convoglio del World food programme. Devono recarsi a ispezionare il sito di un progetto dell’agenzia delle Nazioni Unite nella provincia congolese del nord Kivu.
Un gruppo armato blocca le auto, ammazza a sangue freddo uno degli autisti, Mustapha Milambo e, nel tentativo di un presunto sequestro, uccide sia il diplomatico che il militare per i quali avrebbero dovuto chiedere un riscatto.
A quattro anni da quell’agguato, su cui gravano innumerevoli dubbi e incongruenze, e dopo l’archiviazione del primo troncone dell’inchiesta aperta dalla Procura di Roma, sotto la guida del sostituto procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, quel triplice delitto resta senza verità e giustizia.
Un brutale assassinio che meritava un approfondimento investigativo, mentre i nostri inquirenti non sono neanche riusciti ad arrivare sul luogo in cui si è consumato.
Eppure quanto avvenuto sulla Route Nationale 2 quel maledetto 22 febbraio 2021, continua a sollevare interrogativi, come dimostrano le audizioni dinanzi alla Commissione diritti umani del Senato della Repubblica, nell’ambito di un’indagine conoscitiva che ha coinvolto anche chi scrive in quanto autrice del libro inchiesta “Le verità nascoste del delitto Attanasio”. Audizione che si è conclusa con l’acquisizione da parte dell’organo parlamentare degli elementi forniti.
Sulla vicenda pesa l’ipotesi della possibile archiviazione anche del fascicolo su mandanti ed esecutori del delitto, slitttata –  al momento di andare in stampa – a seguito della presentazione di una nuova memoria difensiva dell’avvocato Lorenzo Magnarelli, legale della famiglia Iacovacci.
Un ultimo spiraglio per l’accertamento della verità, su un tragico episodio che ha segnato profondamente la storia della diplomazia italiana.Dopo il “non luogo a procedere” per “difetto di giurisdizione” disposto dalla Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Marisa Mosetti, sulle responsabilità dei due dipendenti del Wfp che avevano organizzato la missione con Attanasio, Rocco Leone e Mansour Rwagaza – in quanto i due godevano di immunità – il secondo procedimento ha trovato nuova vita proprio grazie alle azioni intraprese dai legali delle famiglie.
L’istanza dell’avvocato Magnarelli sottolinea l’importanza di puntare l’attenzione sulla filiera di coloro che potrebbero essere stati coinvolti nell’attacco fatale, ponendo interrogativi cruciali sull’effettiva dinamica dei fatti.
Con lo scopo di ottenere più tempo per le indagini, Dario Iacovacci, fratello di Vittorio, ha nominato il professor Luca Calcaterra come consulente tecnico.
Docente di Diritto del lavoro presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Bologna, il professor Calcaterra dovrà rispondere  a una serie di quesiti riguardanti l’applicazione delle normative italiane, relative alla sicurezza sul lavoro delle forze dell’ordine italiane in contesti esteri.
La questione giuridica che si pone è se le norme siano applicabili anche ai carabinieri in missione presso le ambasciate e cosa comporterebbe una violazione di queste normative, sia sotto il profilo penale, che civile.
Anche il padre dell’ambasciatore, l’ingegnere Salvatore Attanasio, continua a sostenere la necessità di indagare più a fondo e ha ribadito, durante la testimonianza nelle precedenti sedute dinanzi alla Commissione diritti umani, che il delitto “non può e non deve essere considerato un semplice fatto di criminalità locale, ma un’esecuzione premeditata”. Attanasio ha anche messo in discussione l’operato del governo italiano, lamentando la mancata costituzione come parte civile nel procedimento romano, cosa invece avvenuta per il processo congolese contro i cinque presunti esecutori dell’agguato condannati all’ergastolo in primo grado, sentenza di colpevolezza confermata in Appello ma alla pena capitale. Per Salvatore Attanasio, il Governo e le autorità italiane non hanno adeguatamente tutelato i diritti e la memoria di Luca e Vittorio.
Il padre del diplomatico ha espresso più volte la netta contrarietà alla concessione dell’immunità ai due funzionari del Wfp.
Nel corso del ciclo di audizioni in Parlamento, anche l’avvocato Rocco Curcio, legale della famiglia Attanasio, aveva espresso la convinzione che si dovesse indagare ulteriormente sulle dinamiche del delitto. Per questo ha depositato una perizia di parte, da cui si evince che i colpi mortali che hanno raggiunto Attanasio e Iacovacci erano stati esplosi intenzionalmente e da una distanza ravvicinata.
Tra i tanti aspetti da chiarire, anche la sparizione di alcuni fondi destinati a interventi umanitari.
Secondo il vulcanologo Dario Tedesco, amico di Luca Attanasio, l’ambasciatore era a conoscenza di irregolarità in alcuni progetti e si apprestava a indagare su di esse.
Questo elemento, che solleva ulteriori interrogativi su chi avesse interesse a silenziare una personalità così influente, sembra non sia stato mai approfondito.
Anche altre dichiarazioni di testimoni cruciali non sono mai state acquisite dal pm. Oppure non ritenute di particolare interesse.
Tra queste, la testimonianza del magistrato congolese che inizialmente indagava sull’agguato e che a L’Espresso aveva raccontato del coinvolgimento di militari delle Forze armate della Repubblica democratica del Congo nell’imboscata al convoglio del Wfp.
Secondo il testimone, tra i primi ad arrivare sul luogo del delitto, c’era la volontà da parte di Kinshasa di nascondere la vera natura di quell’attacco. Come dimostra l’arrivo a Goma nel marzo del 2021 di una commissione, voluta dal presidente Félix Tshisekedi, che aveva smantellato la squadra che indagava sulla pista del terrorismo e aveva disposto il rilascio dei soldati per i quali era stato chiesto il fermo e l’acquisizione dei tabulati telefonici delle loro utenze.
Da quel momento la tesi sposata dalle autorità del Congo è stata quella del tentativo di sequestro finito male.
Riuscire a portare in Italia una fonte di informazioni così importante, come un altro testimone, l’imprenditore italo – congolese che aveva denunciato attraverso L’Espresso un giro di “visti facili” concessi all’ambasciata italiana, potrebbe rappresentare un passo significativo nella ricerca di verità per Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci. Soprattutto a fronte del fatto che all’inchiesta giornalistica è seguito l’invio di ispettori del Ministero degli Esteri nella sede diplomatica italiana in RDC. La relazione finale dell’ispezione ha determinato la chiusura dell’ufficio che rilasciava i permessi di viaggio.Le incertezze giuridiche e le testimonianze che sollevano dubbi inquietanti sulla morte dei nostri connazionali, dovrebbero essere una priorità sia per chi indaga che per le istituzioni coinvolte, in quanto le vittime erano due servitori dello Stato uccisi mentre adempivano al proprio dovere. L’impressione è che siamo, ormai, fuori tempo massimo. Solo attraverso un’indagine approfondita sul posto e il coinvolgimento pieno delle autorità competenti si poteva sperare di fare luce su un evento tragico che ha colpito non solo le famiglie delle vittime, ma l’intera nazione. La ricerca della verità doveva essere un dovere morale e giuridico, ma anche di rispetto per il lavoro e il sacrificio di chi rappresenta l’Italia nel mondo. Una questione di dignità.

Fonte L’Espresso


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