80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Né con quest’America né con quest’Europa 

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Saremo probabilmente accusati di riecheggiare uno slogan degli anni Settanta, “né con lo Stato né con le Brigate Rosse”: pazienza, ci esponiamo al rischio. Del resto, anche allora le BR erano una banda di criminali, benché suffragati da profonda cultura e da una coscienza ideologica con la quale, ai fini di un’analisi storica corretta, sarebbe opportuno fare i conti, ma lo Stato era composto da fior di galantuomini ma anche da coloro che vennero rinvenuti nelle liste della P2 del “Venerabile” Gelli, a cominciare dall’apparato di potere che gestì il sequestro Moro al Viminale. Remiamo, dunque, in direzione ostinata e contraria: né con quest’America, isolazionista e pericolosa, né con quest’Europa, guerrafondaia e fuori dal mondo. Per opporsi a Trump, Vance, Musk e all’allegra compagnia che sta mettendo a repentaglio l’esistenza stessa dell’Occidente, infatti, servirebbe un’Unione Europea in grado di sfoderare le armi della diplomazia, della comprensione e del dialogo, ossia l’opposto dell’armamentario bellico che ha sfoggiato finora. Se invece la linea dovesse continuare a essere quella di Boris Pistorius, il ministro della Difesa tedesco che sarebbe persino un socialdemocratico ma la cui visione ricorda, essa sì, quella degli anni Trenta, quando la Russia era considerata il nemico da abbattere, o quella della von der Leyen, di Kaja Kallas, dell’ineffabile Rutte e del suo predecessore Stoltenberg, in questo caso, spiace dirlo, ma non potremmo che sentirci apolidi.
Trump ci fa paura. Ci spaventa per ciò che dice, per ciò che rappresenta e per ciò che fa, per le sue idee in politica estera, per il suo atteggiamento muscolare, per quello che potrebbe combinare nei prossimi anni e per aver aumentato a dismisura la distanza fra gli ex contraenti del Patto atlantico; l’Europa, dal canto suo, ci fa paura, anzi ci indigna, per la sua insipienza. Ora scopriamo che gli americani non ci vogliono al tavolo delle trattative, che preferiscono vedersi direttamente con Putin, e magari con Xi Jinping, in Arabia Saudita, nota culla dei diritti umani, tagliando fuori sia l’Ucraina che un’Unione Europea ridottasi al vassallaggio. Ora scopriamo che sarebbe stato meglio far rispettare e rilanciare gli accordi di Minsk, mezzo milione di morti fa, anziché ridurre un Paese allo stremo, e in macerie, e l’Europa alla disperazione, con l’ascesa dei neonazisti favorita ovunque da personaggi come il già menzionato Pistorius. Ora scopriamo che i nostri interessi non coincidono del tutto, per usare un eufemismo, con quelli statunitensi. Ora scopriamo che non avere un’unità di fatto, se non a livello economico, non solo ci penalizza ma ci riduce all’inesistenza nello scenario internazionale. Insomma, ora scopriamo che l’Unione Europea non è mai nata e rischia di implodere definitivamente, a partire dall’euro, con il serio rischio di tornare a essere tanti staterelli insignificanti e obbligati a vendersi al miglior offerente per veder garantita, per quanto possibile, la propria sopravvivenza.
Spiace dirlo, ribadiamo, ma come si è visto nel vertice-farsa di Parigi (organizzato alla disperata da Macron senza alcuna convinzione), ci siamo giocati la nostra storia, la nostra dignità, il Manifesto di Ventotene, le intuizioni dei padri fondatori e tutto ciò che nei decenni precedenti ci aveva reso un attore di primo piano sullo scacchiere internazionale. E questo perché siamo rappresentati tuttora da soggetti troppo piccoli per un progetto immenso, per cui varrebbe ancora la pena battersi, impegnarsi a fondo e continuare a spendere energie e risorse, pena la riduzione, nel caso dell’Italia, allo stereotipo di pizza e mandolino. Lo capirà Giorgia Meloni? Poiché pare che apprezzi De André, ci permettiamo di ricordarle i versi conclusivi di “Verranno a chiederti del nostro amore”: “Continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai”? Fare la valletta a Mar-a-Lago o fare la statista a Roma e, soprattutto, Bruxelles: questo è il dilemma.

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