Sapete qual è il problema dei traguardi? Che non si raggiungono mai.
No, non sto parlando del particolare obiettivo per cui si sta lottando, per quanto difficile quasi nulla è impossibile da ottenere, ma la sensazione di avercela fatta, di essere arrivati, di essere completi, quella sì che è una chimera.
Fateci caso, tornate per un secondo indietro nei ricordi e ripercorrete i chilometri fatti, le cento spunte verdi sulla lista, le volte in cui avete trovato l’equilibrio, in cui siete entrati in quel vestito, in cui avete appeso quel titolo alla parete della sala. Vi sarete sentiti pieni di orgoglio, felici, leggeri; eppure, sono certa che oggi quella sensazione sia rimasta intrappolata lì, in quella cornice impolverata su cui non gettate neanche più uno sguardo, appesa alla stampella di un armadio che non aprite più.
Il giorno in cui mi sono laureata è stato il più bello della mia vita, ci ero riuscita! Ero invincibile.
Avevo fatto tutto bene, tutto in tempo, tutto perfetto, ero pronta a vivere; adesso immaginate il mio disappunto nello scoprire che la mia vita, in realtà, era già iniziata da un pezzo e non sarebbe stato quel foglio di carta a stravolgerla.
C’è una retorica affascinante attorno alla laurea, una retorica pericolosa. Ci si aggrappa all’idea che una volta superato quell’esame, una volta posta l’ultima nota sulla tesi si sia finalmente arrivati, che verranno ripagati gli sforzi, riconosciuto il valore. La verità è che non accade quasi mai, che non cambia quasi niente, c’è solo il vuoto. Tutti gli anni passati sui libri, a incastrarsi nei tempi giusti, nei voti giusti, nei numeri giusti; a cercare di essere visti, a scorticarsi fino a sanguinare, a correre, correre, correre senza mai sentire di essere anche solo vicini. Tutti gli anni passati a fare tutto, a farlo bene, a farlo perfetto, per arrivare a un enorme: E adesso?
E adesso che ho fatto tutto giusto? Che ho seguito la via, sono arrivata al traguardo e ci sono arrivata in tempo; adesso che ho rispettato le aspettative, che le ho persino superate, che non ho più pezzi di carne da vendere o raschiare. Adesso che devo fare?
Ci si trova di fronte a un mondo enorme, sconosciuto, in cui quello che abbiamo imparato non funziona più, non basta più. Abbiamo fatto tutto bene, eppure ci sentiamo lontani lo stesso.
La verità è che dovrebbe essere normale sentirsi così, un po’persi, un po’ spezzati. Per più della metà della nostra vita non abbiamo conosciuto altro che banchi, libri, professori ed esami; per più della metà della nostra vita non ci è stato chiesto altro, non è esistito altro; poi ti danno una stretta di mano, una corona sulla testa, un foglio da portare a casa ed è tutto finito, è tutto cambiato. All’improvviso la vita non è più scandita da pagine e date da rispettare, non c’è più nessun programma “imposto”, nessuno che ti dica cosa fare per andare bene; all’improvviso ci sei solo tu, tu che devi trovare la strada, tu che devi far funzionare le cose, tu che devi trovare lavoro davanti a milioni di porte chiuse in faccia, davanti a milioni di porte che quel pezzo di carta non lo guardano nemmeno, davanti a milioni di porte che chiedono un’esperienza che nessuno è disposto a farti fare. All’improvviso ti rendi conto che non vai bene lo stesso.
Come può questo non fare paura?
No se ne parla abbastanza, non lo si vuole ammettere, se ne prova vergogna ma è NORMALE e c’è bisogno di urlarlo. C’è bisogno di urlarlo per sentirsi ancora parte di qualcosa, per non sentirsi sbagliati anche in questo, per capire che ci siamo passati tutti e si sopravvive lo stesso, si trova comunque una strada, magari diversa, magari più lontana ma nostra.
Io sono terrorizzata però non ho paura di gridare e spero che questo grido arrivi lontano, nelle camere chiuse di altri ragazzi che hanno in mano petali e spine, che hanno fatto tutto giusto e non vengono visti comunque, che non sanno ricominciare a funzionare e non vedono al di là dei punti di domanda. Spero che il mio grido arrivi lontano perché a volte abbiamo solo bisogno di essere svegliati.
Se avete voglia di condividere le vostre esperienze e gridare insieme a me scrivetemi alla mail: la.posta.inquieta.direbecca@gmail.com
Facciamo girare la nostra voce, le nostre storie, facciamoci vedere.