80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Evviva Carlo Conti! – Un Festival alla Biagio Agnes nella RAI dei sovranisti

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Con saggezza democristiana e fiuto da consumato animale da palcoscenico, Carlo Conti è riuscito in un miracolo: costruire un Festival per tutti nella RAI dei sovranisti. Insomma, ha unito dove gli altri hanno diviso, ha tenuto insieme dove gli altri hanno seminato zizzania, ha evitato con cura ogni polemica (alcune ci sono state comunque, ma questo era inevitabile) e ha sminato preventivamente il terreno, puntando su artisti di valore, canzoni di qualità, esibizioni e duetti che hanno tenuto incollato davanti al televisore un pubblico mai visto, compresi i giovanissimi, e rinunciando a monologhi e altre caratteristiche delle edizioni targate Amadeus che tanti guai avevano arrecato al predecessore. Intendiamoci: quest’idea in base alla quale Conti sarebbe un restauratore mentre Ama sarebbe un esponente della Terza Internazionale fa sorridere. Chiunque conosca il dj ravennate, ora traslocato alla Nove, sa infatti che è un ragazzo degli anni Ottanta, di cui non si conoscono le opinioni politiche: un perfetto figlio della scuderia di Cecchetto, un grande professionista, un signor presentatore ma non certo il leader dell’opposizione in pectore. Non lo è, non ha mai inteso esserlo e ci sono sempre sembrate assurde, per non dire addirittura puerili, le critiche che lo hanno investito nel corso delle sue cinque edizioni, in particolare le ultime due, avvenute nell’evo meloniano, con tutto il portato di contestazioni sul nulla che esso ha recato con sé. Carlo Conti, dunque, cosciente del contesto, della fase storica e fedele alla sua natura di presentatore della porta accanto, ha tagliato la testa al toro: niente monologhi, nulla che non avesse a che spartire con la musica e l’intrattenimento, buon gusto e attenzione anche agli abiti degli artisti sul palco. E così, ecco che gli scapigliati Achille Lauro e Tony Effe sono sembrati due chierichetti, che i giovani leoni si sono potuti esibire – chi meglio, chi peggio – senza subire la pressione di un palco che talvolta ha giocato brutti scherzi anche ai numeri uno e che personalità come Giorgia, Cristicchi, Brunori Sas e il meraviglioso Lucio Corsi hanno potuto giganteggiare, grazie a una qualità superiore e a canzoni destinate a restare nella storia della musica italiana. Ha vinto Olly, e questo è l’unico neo di un’edizione pressoché perfetta: tanto Cristicchi quanto Lucio Corsi l’avrebbero meritato assai di più (e Giorgia fuori dai primi cinque grida vendetta). Del resto, c’era da aspettarselo: siamo pur sempre nella RAI meloniana e la vittoria di un esempio di anti-maschilismo e anti-patriarcato, con un testo poetico, dolcissimo e in netto contrasto con questi tempi bui, sarebbe stata inaccettabile per chi ha elevato il trumpismo e il muskismo, ossia la logica del “duro” e del “macho” a propria filosofia di vita.

Compiute le doverose osservazioni sul vincitore, lasciateci ora formulare una riflessione controcorrente sulla presunta “spoliticizzazione” dell’Ariston. Da pasoliniani convinti, siamo stati fra i primi a denunciare, in più di un ambito, i rischi che la società corre a causa della scomparsa dei luoghi d’incontro, delle grandi passioni politiche e civili, della disaffezione alle urne, della crisi del giornalismo, che è un’immensa crisi della democrazia, e dei pericoli connessi a nuove tecnologie che, se non adeguatamente regolate, rischiano di trasformare l’essere umano in un orpello anziché nel protagonista dei processi economici e di sviluppo. Siamo stati fra i primi e continueremo a batterci in tal senso, anche perché di questa RAI non ci piace quasi niente e non esitiamo a farlo notare ovunque ce ne sia data la possibilità. La pretesa che Sanremo si trasformi in uno sfogatoio, tuttavia, ci pare eccessiva. Non si è parlato di mafia, di immigrazione, di integrazione, di inclusione, di diritti LGBTAQIA+ e di molti altri temi che ci stanno a cuore, è vero, ma siete proprio sicuri, compagne e compagni, che sia Conti a doversi trasformare in Berlinguer? Se l’opposizione non riesce a bucare lo schermo, se non riesce a fare fronte comune salvo sporadiche eccezioni, se non riesce a costruire un’alternativa all’altezza a questo pessimo governo e se non si sta mobilitando nemmeno per difendere la Vigilanza RAI dalla paralisi impostale dalla destra, desiderosa forse di far eleggere Agnes (figlia di quel Biagio Agnes che richiamiamo nel titolo) al timone dell’azienda, forse di estromettere Floridia dalla guida della suddetta Commissione, non potete – mi ci metto anch’io: non possiamo – prendercela con quel “bischeraccio” perennemente abbronzato che il fatto suo, come detto, lo sa eccome e da quarant’anni ci regala intrattenimento di valore, confortato da un consenso popolare che ricorda quello sommavano PCI e Democrazia Cristiana negli anni d’oro della nostra vicenda repubblicana.

Siamo scesi in piazza tante volte per chiedere un’altra RAI e la tutela dell’informazione come presidio democratico; siamo inorriditi di fronte agli allontanamenti “spintanei” di personalità come Fazio, Gramellini, Augias, lo stesso Amadeus e l’elenco sarebbe ancora lungo; ci siamo domandati per quale motivo un gioiello come “Magma” di Giorgia Furlan, dedicato al movente politico dell’omicidio Mattarella, sia dovuto andare in onda su La7 anziché sul servizio pubblico; abbiamo difeso a spada tratta, e non smetteremo mai di farlo, Report e i pochi presidi di libertà rimasti in un oceano di programmi dalla qualità discutibile e dagli ascolti oggettivamente bassi, ma è Sanremo a doversi far carico di tutti i nostri malesseri? E poi, scusate, ma io, e qui parlo in prima persona, il sovranismo proprio non l’ho visto, a meno che non si vogliano calpestare le biografie, e le idee politiche mai nascoste, di Giorgia, Elodie e altri mammasantissima che hanno allietato le nostre serate in questa settimana.

Manca la politica? Sì. La società si sta disgregando, in un trionfo di individualismo, consumismo, egoismo dissennato, chiusure grette e un malinconico compiacimento nel compulsare ossessivamente smartphone e tablet, non riuscendo più ad alzare lo sguardo verso l’altro? Sì, come mancano le passioni travolgenti, i valori universali, i pensieri lunghi, le analisi profonde e persino la magia dell’amore, in un quadro internazionale sempre più dominato dall’odio. Avete ragione, ma non può essere Sanremo a tirarci fuori dall’abisso nel quale siamo sprofondati. Sanremo è come la Nazionale e la Costituzione: appartiene a tutti. È il patto (canoro) che ci lega, cinque giorni all’anno, per poi tornare a dividerci su tutto, com’è giusto che sia. E credetemi, sarò un illuso ma la penso così, la ricostruzione di qualche ambito nel quale ci si senta fratelli e sorelle, al di là di come ci si comporta nelle urne e nella vita, è l’atto più anti-sovranista che esista. È ciò che fecero, ad esempio, i partigiani quando scesero dai monti ed entrarono in Parlamento per redigere la nostra Carta; è ciò che fece Modugno quando alzò le braccia al cielo e ci esortò finalmente a volare, dando di fatto inizio agli anni del boom; è ciò che hanno fatto gli sketch di Carosello; è ciò che fecero i ragazzi di Valcareggi nella notte dell’Azteca; è ciò che seppe fare persino la politica negli anni Settanta, rispondendo alle bombe e al terrorismo con le riforme che hanno migliorato e semplificato la nostra esistenza. Ed è ciò che seppero fare, senza dubbio, in RAI due direttori generali di chiara marca democristiana ma capaci di compiere una sana distinzione fra l’esercizio del governo e la presa del potere: Ettore Bernabei, che chiese a un irregolare come Biagi di assumere la direzione del Telegiornale (durò poco ma lo rivoluzionò per sempre), e Biagio Agnes, che affidò a Guglielmi la rivoluzione di Raitre, entrambi ben coscienti del fatto che il Paese andasse raccontato e rappresentato nella sua interezza. “Tutta l’Italia”, per l’appunto, e guarda tu se deve arrivare un altro goliardico figlio degli anni Ottanta a rammentarci quest’ovvietà divenuta rivoluzionaria!


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