80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Dai timori dell’ipernatalità alla denatalità

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Quello della denatalità è un problema sempre più attuale, basti pensare che negli anni 60, periodo del boom delle nascite, in Italia si contavano un milione di nati all’anno, mentre ora siamo scesi al di sotto della soglia psicologica dei 400.000. Si calcola che dal 2009 al 2022 in Italia ci sia stato il 30% in meno di nascite, un vero e proprio problema politico, economico e sociale per le generazioni future. Questa emergenza interessa diversi Paesi industrializzati, non solo l’Italia, ma anche gli Stati Uniti, il Giappone e perfino la Cina. Ricordo che ai tempi della mia adolescenza, si parlava spesso del sovraffollamento nella Repubblica Popolare Cinese, dove vigeva il divieto di avere un secondo figlio (legge abolita nel 2013), mentre adesso anche lì si registra una significativa denatalità, se si considera che vi sono 1,5 nati in meno rispetto ai deceduti ogni 1000 abitanti. Un grande problema per le generazioni future, dicevamo, che hanno già affrontato la Germania, L’Olanda, il Belgio e la Svezia, ottenendo discreti risultati dopo aver introdotto incentivi economici alle coppie prolifiche ed implementando asili nido ed assistenza all’infanzia.

Eppure Paul Ehrlich, un professore della Stanford University, aveva pubblicato nel 1968 il libro best seller “the population bomb”, in cui immaginava un quadro apocalittico nel giro di qualche decennio, caratterizzato dalla fame di massa dovuta alla crescita esponenziale della popolazione mondiale, accompagnata da una insufficiente produzione alimentare. Il libro, tuttora in commercio, nonostante le critiche che lo accusavano di allarmismo, fu ristampato più volte ed ha venduto oltre 3 milioni di copie.

Un altro testo del 1972, Il Rapporto sui limiti dello sviluppo (the Limits to Growth) commissionato al MIT (Massachusetts Institute of Technology) dal Club di Roma era dello stesso tenore, prevedendo un prossimo esaurimento delle riserve terrestri di materie prime, così come si sarebbe ridotta drasticamente la superficie terrestre arabile, e quindi disponibile per l’agricoltura. Anche l’aggiornamento del testo pubblicato in Italia nel 2006 col titolo I nuovi limiti dello sviluppo, ha sostanzialmente confermato i dati e le previsioni precedenti, concludendo che la Terra non è infinita né come serbatoio di risorse, né come discarica di rifiuti.

Sempre negli anni ‘70 Robert McNamara, ministro della Difesa dei Presidenti J.F. Kennedy prima e di L.B. Johnson poi, nonché presidente della Banca Mondiale, affermò che la crescita dirompente della popolazione rappresentava una grande sfida per l’umanità, in quanto costituiva una minaccia più pericolosa della guerra termonucleare.

Insomma gli anni ’70, tra autorevoli saggi, pubblicazioni scientifiche e dichiarazioni politiche, sono stati caratterizzati non da una semplice preoccupazione, ma da un vero e proprio allarmismo per la crescita esponenziale della popolazione mondiale: la bomba demografica.

Oggi le cose sono cambiate, si stima che l’incremento numerico degli abitanti del pianeta si fermerà nel 2080 e nel mondo sviluppato si parla con preoccupazione di denatalità. In Italia le cose vanno peggio: siamo gli ultimi in Europa per tasso di natalità ed i primi per l’età media femminile al primo parto. Le previsioni nefaste degli anni ‘70 si sono mostrate errate, almeno in parte. Non i rapporti che prevedevano che, sulla Terra, da tre miliardi di esseri umani saremmo arrivati a otto. Ciò che non era previsto, o almeno non in maniera così eclatante, è il mutamento geografico delle linee demografiche. Per oltre un millennio i primi insediamenti dell’uomo hanno interessato quasi esclusivamente la via della seta, quel reticolo di 8000 Km costituito da itinerari terrestri, marittimi e fluviali lungo i quali avvenivano i commerci tra l’impero cinese e quello romano, cioè tra l’Estremo Oriente e l’Europa. Le zone più popolate, insomma, erano rappresentate dall’asse Europa – India – Cina, una linea immaginaria che congiunge l’ovest all’est. Nel resto del mondo rimaneva ben poco, con l’Africa e le due Americhe quasi disabitate, o certamente poco popolate. In ogni caso la popolazione del pianeta è stata in costante aumento sin dalla sua nascita, fatta eccezione per il periodo della metà del 1300, quando scoppiò la pandemia della peste nera, conosciuta come peste bubbonica a causa dei rigonfiamenti linfonodali che caratterizzavano la malattia. L’infezione dovuta a questo batterio mortale, scoppiò nell’Asia centrale settentrionale nel 1346 propagandosi per tutto il mondo, compreso l’Europa dove causò almeno 20 milioni di morti.

Nel 1500 si registrò una nuova ripresa delle nascite, con l’Italia rinascimentale che passò dal Medioevo all’età moderna.

Dopo la seconda guerra mondiale le aree più popolate erano sempre l’Europa, la Cina e l’India, ma iniziarono finalmente a popolarsi un pochino di più anche l’Africa e le Americhe. Si contavano sulla Terra circa 2,8 miliardi di abitanti. Ma la vera novità di questo periodo non era il numero degli esseri umani, ma il fatto che non si trattava più di europei, indiani e cinesi, ma coesistevano altre realtà che si stavano sviluppando ad un ritmo vertiginoso e in particolare l’Africa. In un recente passato il continente nero non esisteva ed oggi è preponderante sul resto del mondo ed il futuro sarà diverso da quello che ci si aspettava.

Oggi Europa e Africa si sono scambiati il ruolo per densità demografica e se andremo avanti così nel 2050 cioè tra 25 anni la comunità europea conterà solo il 4% della popolazione mondiale.

L’India è già divenuta il paese più affollato al mondo; la Nigeria è destinata ad essere da sola più grande di tutta la comunità europea, ma anche il Pakistan è in forte espansione. Oggi il 30% dei bambini del mondo nasce nell’Africa subsahariana, tra 20-30 anni sarà verosimilmente il 40%.

Un altro aspetto da prendere in considerazione, oltre al numero degli abitanti del pianeta è la loro età e il loro genere: poche bambine equivale a dire poche future mamme. Lo studio del numero della popolazione rapportato all’età e al genere viene raffigurato con istogrammi disposti simmetricamente, le piramidi demografiche. Queste presentano una larga base solo nei paesi in via di sviluppo, mentre nel mondo occidentale vanno sempre più invertendosi. In Italia saranno definitivamente invertite tra 20-30 anni, epoca in cui si registrerà un aumento della popolazione anziana associata ad una diminuzione delle mamme, la cosiddetta trappola demografica.

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Nigeria 2023

Fig.1 Piramidi demografiche a confronto (Fonte ISTAT)

Ma qual è stata la causa del declino e soprattutto cosa è accaduto in Italia dopo gli anni ’60? Negli anni ’75-’76 l’indice di natalità, o total fertility rate, è calato drammaticamente al di sotto di 2, quando, per mantenere costante il numero della popolazione, è necessario almeno il 2,1.

Uno dei fattori è stato certamente l’emancipazione femminile. Il lavoro della donna, infatti, ha portato ad un innalzamento dell’età media della prima gravidanza a 32 anni, riducendo significativamente la finestra fertile disponibile ad un periodo di una decina d’anni.

Ma oltre al fattore età, negli anni ’70, in Italia sono avvenuti una serie di cambiamenti che hanno mutato per sempre il concetto della famiglia e il ruolo della donna nella società.

ANNI ‘70

● 1969 – Movimento di liberazione della donna per la legalizzazione dell’aborto e per gli asili nido;

● 1970 – Legge sul divorzio (Gov. Colombo)

● 1971 – Legalizzazione della pillola anticoncezionale

● 1974 – Referendum abrogativo sul divorzio (Quorum 87,72%) Sì 40,7% – No 59,3%

● 1975 – Equiparazione tra uomini e donne (nuovo diritto di famiglia)

● 1978 – Legge 194 sull’aborto

Ci riferiamo al divorzio, consentito dal 1970, all’introduzione della pillola anticoncezionale, legalizzata il 10 Marzo del 71 ed all’aborto introdotto in Italia nel ‘78. Si è anche innalzato il tasso di istruzione femminile ed oggi si registrano più donne laureate rispetto agli uomini (60 Vs. 40%) e le statistiche indicano che c’è una relazione inversa tra il grado d’istruzione femminile e l’indice di natalità, così come tra i paesi ricchi e quelli poveri. L’indice di natalità in Niger è pari al 7,1 per ogni donna, nel Mali è di 6,3, nel Congo è 6,2 mentre in Italia siamo scivolati ad 1,14. A fronte di tanti bambini nati, nei paesi poveri si registrano alti tassi di mortalità infantile: Haiti 7% contro lo 0,2/100 dell’Italia.

Per combattere la denatalità sono necessarie politiche sociali ed economiche che riescano ad invogliare le coppie a fare figli; meno significative in termini numerici, sono le cause mediche che vedono il fattore di sterilità maschile in crescita a causa dell’inquinamento del pianeta con sostanze tossiche per l’apparato riproduttivo come i Parabeni, gli Ftalati e il Bisfenolo A, presenti nelle creme solari, dentifrici, lacche per capelli, smalto per unghie, pellicole, sostanze impermeabilizzanti e plastica in generale. La sterilità maschile ha quasi raggiunto in percentuale quella femminile dovuta a diversi fattori tra i quali ricordiamo l’endometriosi, le patologie tubariche, la PCOS e la ridotta riserva ovarica. L’accesso gratuito ai cicli di fecondazione assistita, finalmente inserita nei LEA, può rappresentare concretamente un aiuto alle coppie con difficoltà di concepimento. Confrontando i dati del 2023 rispetto all’anno precedente, a fronte di un calo delle nascite del 3,6% – circa 14.000 nati in meno – si registra la nascita di 16.625 bambini, il 4,2% delle nascite totali, attraverso la PMA.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità dall’approvazione della Legge 40/2004 – che regolamenta in Italia la fecondazione assistita – al 2022, il numero dei trattamenti è raddoppiato e sono nati complessivamente 217.275 bambini. Nello stesso periodo il tasso di gravidanza ogni 100 trasferimenti di embrione/i è aumentato significativamente, passando dal 16,3% al 32,9%. Ma ciò non basta.

Per promuovere la natalità il mondo occidentale dovrà prevenire la sterilità attraverso campagne nelle scuole sui rischi delle malattie sessualmente trasmissibili che possono causare l’occlusione delle tube, anche promuovendo tra i giovani l’impiego della contraccezione meccanica. Sarà necessario introdurre stili di vita virtuosi, facendo conoscere i danni all’apparato riproduttivo di alcool, fumo e droghe, ma anche mettendo al bando sostanze tossiche attraverso una progressiva sostituzione della plastica col vetro. Saranno necessarie campagne d’informazione a 360°, in televisione, sui giornali, sui social, al cinema e nelle metropolitane affinché tutti sappiano che dopo i 30 anni le donne diventano un tantino meno fertili rispetto al giorno precedente e che, pur ricorrendo alla PMA, dopo i 38 anni le percentuali di successo calano repentinamente.

La denatalità è un fenomeno complesso che, pur avendo cause mediche, è influenzato da fattori socio-economici, culturali e politici. Per contrastarla è necessario affrontare queste problematiche attraverso politiche sanitarie e sociali mirate. Tuttavia, indipendentemente dal fatto che la denatalità rappresenti un problema per lo Stato, il numero dei bambini che una coppia decide di avere è una decisione personale, ed in quanto tale, va sempre rispettata.

 


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