La mattina del 18 febbraio, in Turchia, nell’ambito di un’operazione contro l’HDK (Congresso Democratico dei Popoli), la polizia ha posto in detenzione provvisoria 52 persone in 10 città diverse. Secondo la magistratura, si tratta di un’operazione condotta contro “una formazione terroristica”. In realtà, l’HDK, accusato con questa grave imputazione, è una formazione politica legale che esiste da più di 13 anni in Turchia. Le persone arrestate sono ex parlamentari, politici locali, attivisti per i diritti umani, ricercatori e giornalisti.
Tra le presunte prove avanzate per giustificare le operazioni figurano articoli giornalistici pubblicati in passato, discorsi pubblici pronunciati durante comizi, nonché una serie di intercettazioni telefoniche che la stessa magistratura aveva in precedenza definito “illegali”. Inoltre, i mandanti di queste intercettazioni erano stati già anni fa accusati di “attività terroristica” e arrestati.
La mattina del 22 febbraio, la magistratura ha confermato l’arresto di Yıldız Tar, direttore responsabile della rivista KaosGL, della giornalista freelance Elif Akgül, del giornalista di IlkeTv Ercüment Akdeniz e di un altro giornalista freelance, Ender İmrek.
Secondo il Sindacato dei Giornalisti di Turchia, nei centri penitenziari attualmente si trovano 23 persone che lavorano nel mondo del giornalismo, comprese queste quattro. Tuttavia, secondo osservatori come Punto24 ed Expression Interrupted, il numero sale a 35 se si considerano anche coloro che operano come reporter ma senza tesserino.
È chiaro che ci troviamo ancora una volta di fronte a un’ondata di arresti legati a un progetto politico ed economico che il regime al potere in Turchia cerca di attuare. Le operazioni attuali, sommate a quelle dei mesi precedenti che hanno colpito diversi settori della società e delle opposizioni, anche molto eterogenee tra loro, ricordano i processi di Ergenekon, Balyoz, OdaTv e KCK. In altre parole, l’ennesima ondata di repressione che mira a creare un calderone in cui confluiscono diverse anime “scomode” per il regime.
L’obiettivo di Ankara è senza dubbio quello di mantenere alto il livello della paura nella società civile, reprimere il mondo dell’attivismo e del giornalismo e provare a rafforzare l’immagine di un potere solido e capace di tutto. In realtà, i fatti mostrano un regime immerso in numerosi casi di corruzione, riciclaggio di denaro, traffico di droga ed esseri umani, ormai incapace di governare il Paese attraverso strumenti democratici e costretto a ricorrere esclusivamente a misure autoritarie, al prestigio e al denaro di provenienza sconosciuta che riceve da altre “democrature” o dittature, le quali lo sostengono per loro convenienza. Ovviamente, coloro che evidenziano questi aspetti, cercano di informare la cittadinanza e di costruire un’alternativa finiscono nel mirino del regime.
(Murat Cinar è giornalista, digital communication strategist, interpreter)