Dicono sia il tempo di pregare per te. E chi sarei io per dire altro, o diversamente. Ma soprattutto questo per me è il tempo di ricostruire dentro di me la storia con cui mi hai preso, confermato, cambiato: eccola qui.
Tutto è cominciato con la tua apparizione sul balcone di San Pietro quando sei stato eletto, solo vestito di bianco, niente robe strane, e subito ti sei definito “vescovo di Roma”, non “papa”: il quel tuo saluto il termine “papa” non c’è. Per quanto fossi un vaticanista più attento ai gesti che alle sottigliezze linguistiche, ho sentito qualcosa di forte, profondo, e che dovevo capire, perché in quella scelta della quale era “ evidente” il tratto ecumenico, cioè proteso ad aiutare una maggiore unità dei cristiani, io ci ho colto anche qualcosa in più, una riforma del papa, per renderlo più umano, o per dire quel che ho pensato, “umano”, qual è. Dunque la tua, in quel momento, mi è apparsa una parola immersa nel tuo mondo, ovviamente, ma non solo, tale da riguardare non solo professionalmente ma umanamente anche gli esterni, come me.
Poi è arrivata il tuo primo documento, non un’enciclica, ma un’Esortazione Apostolica, Evangelii Gaudium: la scelta andrebbe spiegata, ma qui devo dire soltanto che per me è emerso subito il grande insegnamento, che vale per ciascuno, individualmente e collettivamente: il tempo è superiore allo spazio!!!! Non prediligere la gestione dell’ orticello, ma avviare processi. Ma non è tutta qui Evangelii Gaudium: c’è anche il discorso sulle opposizioni, che non sono le contraddizioni. Le opposizioni sono vitali, necessarie, non vanno eliminate, spieghi in quel testo fortissimo, ma gestite salendo di livello e poi seguitando a farlo, e farlo ancora. Oggi questo mi porta a pensare alla Siria, non mia ma di padre Paolo, e che cerco di seguire per il mio rapporto con lui, che non può farlo. La vedo sballottolata tra il centralismo e i localismi. Ho le mie idee, ma forse devo capire che centralismo e localismo servono entrambi, lo spieghi benissimo in quel testo: il tutto è superiore alla parte, ma le parti esistono, deduco. Non ci può essere un centralismo senza parti, e neanche parti che dimenticano il tutto.
Comunque con Evangelii Gaudium mi sono sentito legato alla tua storia, confermato e cambiato al contempo: e quindi che dovevo seguirti, procedere: il muro del vecchio mangiapreti era crollato; forse era stato una reazione, ma ora potevo vedere un’altra storia.
Ma dovevo farlo non non soltanto per gli straordinari decaloghi che consegnavi ai curiali, quello in cui gli hai parlato dell’alzheimer spirituale, ma per il Documento sulla fratellanza; tutte le religioni sono parte del disegno divino. Questa è la frase precisa che tu e l’imam di al Azhar ci avete donato con un testo che non fa che procedere nel solco conciliare: “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani”.
Leggendo quel giorno ti ho ringraziato sorpreso, pensando che così si potrebbe rifare il Mediterraneo. A quel punto non poteva tardare Fratelli tutti. Quell’enciclica ha scosso molti, forse insieme all’amore che va innanzitutto ai poveri spiegava il senso del nome che hai scelto per te: Francesco. Ma non era un semplice “volemose bene”, dentro di me ho sentito che mi spiegavi che aveva ragione Pasolini: “la e della frase Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio è una “e” disgiuntiva non congiuntiva”. Dunque ho sentito che volevi parlarci dell’altro potere, quello disgiunto, opposto all’altro. E che mi ha riguardato, perché non mira a portarne su un altro, ma a cambiarci nel cuore; i fratelli sono diversi, ma sanno di essere uguali nel loro essere figli dello stesso padre. Ecco perché questi due testi, ai miei occhi, fanno emergere che non siamo diversi ma uguali, bensì uguali perché diversi.
Così, sorpreso, mi sono ritrovato sotto il tuo tetto: perché lì ho sentito esserci posto anche per un agnostico, e nel tuo discorso, ad Ajaccio, lo hai detto con il massimo rispetto possibile, come mai altri prima: “ è importante riconoscere una reciproca apertura tra questi due orizzonti: i credenti si aprono con sempre maggiore serenità alla possibilità di vivere la propria fede senza imporla, viverla come lievito nella pasta del mondo e degli ambienti in cui si trovano; e i non credenti o quanti si sono allontanati dalla pratica religiosa non sono estranei alla ricerca della verità, della giustizia e della solidarietà, e spesso, pur non appartenendo ad alcuna religione, portano nel cuore una sete più grande, una domanda di senso che li conduce a interrogare il mistero della vita e a cercare valori fondamentali per il bene comune”.
Sarebbe stupido nascondere che mi sono commosso leggendo, e ho capito molto meglio il discorso del lievito, perché mi sono sentito riconosciuto per quello che sono: un “laico” che cerca di essere attento al bene comune. Chi si sente riconosciuto riconosce più facilmente.
Così tra poco, camminando piano, zoppicando, verrò a San Pietro per ascoltare l’Angelus che hai scritto per questo 23 febbraio 2025. Innanzitutto perché so che da te c’è posto anche per me e quindi più che per pregare o per ringraziarti, lo faccio perché sento che mi farà bene, comunque, stare con te. Come è possibile, fin quando è possibile, perché non farlo? Potrò dirti in cuor mio, guardando verso il balcone dove tutti ci siamo abituati a vederti: “la tua rete forse ha pescato il pesce più inutile, ma io non voglio uscire dalla tua rete, perché mi fa bene stare qui.”
A molti tuoi fratelli nella fede dici altro, a molti altri credenti dici altro ancora, di certo. Queste sono alcune delle tanti cose che ogni giorni dici a me.