Poco male se chi fa affari si preoccupa di avere buoni rapporti con il potere politico, ma se questo atteggiamento ha una ripercussione diretta sulla libertà di espressione di alcuni organi della grande stampa, allora scatta un campanello di allarme. È il caso della vignetta bocciata al Washington Post. La disegnatrice e premio Pulitzer Ann Telnaes propone al giornale uno schizzo nel quale si vedono Jeff Bezos proprietario del Washington Post oltre che di Amazon insieme a Topolino simbolo della Walt Disney e ad altri imprenditori che si inginocchiano ai piedi di Donald Trump. La vignetta è bloccata. La disegnatrice si dimette precisando che mai nella storia della sua collaborazione con il giornale era avvenuta una censura del genere. D’altronde è lo stesso giornale che a pochi giorni dalle elezioni presidenziali ha bloccato il tradizionale editoriale di Endorsement nei confronti della candidata democratica alla Casa bianca rompendo una tradizione pluridecennale . Allo stesso modo il proprietario del Los Angeles Times aveva bloccato un editoriale analogo critico nei confronti di Trump. E la Disney proprietaria del network sul quale George Stephanopulos aveva pesantemente criticato Donald Trump incorrendo nel reato di diffamazione ha accettato una transazione pagando 15 milioni di dollari al neopresidente come risarcimento.
Si può discutere l’infinito nel merito di questi episodi, ma una una cosa è certa: il vento della preoccupazione che ha gonfiato le vele di una stampa fino ad allora in crisi sembra essersi affievolito di fronte a un potere, quello di Trump e dei maga che questa volta ha precisato quali sono i termini dell’epoca che abbiamo davanti: non basta per chi lavora dentro e fuori l’amministrazione la lealtà , occorre la fedeltà.
Tempi duri per la libertà di informazione e di critica.