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Siria: minoranze preoccupate

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La Siria è un paese complesso, ricco di sfaccettature che in questo momento sono quanto mai pericolose. La caduta del regime di Bashar Al Assad ha portato ad un vuoto, una sorta di limbo dove si dovrà capire come ricostruire il paese in modo tale che non imploda come hanno fatto altri paesi dopo una dittatura.

Le possibilità che si sono aperte sono tante, quanti i pericoli in agguato anche perché la Siria è un paese che non verrà mai lasciato da solo a prendere le proprie decisioni. Gli interessi di ieri delle nazioni internazionali che hanno sempre tenuto un piede dentro, sono rimasti e anche se cambiano le alleanze, il risultato è lo stesso, spesso e volentieri, l’instabilità politica è più funzionale.

Non per la gente però, stanca, ferita, devastata dalla rabbia e tutti per buone ragioni diverse. Le persone hanno paura, ora sembra quasi che liberarsi di Assad, nonostante ci siano voluti 14 anni, sia stata la parte più facile del processo, quello che li aspetta è una sfida di intelligenze e giustizia, che non tutti credono che chi ora è al comando, sia capace di affrontare.

Un conto è imbracciare le armi, un altro è costruire uno Stato democratico dove tutti sono uguali, dove la corruzione non regna, dove gli odi vengono messi da parte.

Tre anni per scrivere la Costituzione

Ahmed Al Shaara, il leader de facto, ha detto che ci vorranno almeno 4 anni prima delle elezioni, che ci vorrà almeno un anno per vedere drastici cambiamenti, ma la teoria è sempre un po’ più semplice della realtà con la quale si deve fare i conti.

Il nuovo governo siriano guidato dall’ex leader di Al Qaeda al-Sharaa (Abu Mohammad al-Julani) sta effettuando incursioni e arresti contro membri del defunto governo di Bashar al-Assad e vengono segnalate di uccisioni settarie di minoranze da parte di forze associate al nuovo governo.

Aveva detto che sarebbero state rispettate tutte le minoranze, ma le colpe che incarna l’élite alawita di cui faceva Assad sono difficili di dimenticare.

L’agenzia di stampa statale siriana SANA ha riferito nei giorni scorsi che “alcuni resti delle milizie di Assad” sono stati arrestati e le loro armi e munizioni sono state confiscate nella regione costiera siriana di Latakia.

Sempre negli ultimi giorni, le forze di sicurezza hanno inseguito anche membri dell’ex governo nelle regioni di Tartous, Homs e Hama.

L’ufficio stampa del ministero degli Interni ad interim della Siria ha affermato che la campagna è stata lanciata solo dopo che i membri del precedente governo non erano riusciti “a consegnare le armi e a sistemare i loro affari” entro un lasso di tempo specifico.

Video e resoconti che circolano sui social media indicano che ex soldati e civili vengono cacciati dalle loro case e giustiziati dai militanti di HTS semplicemente perché sono alawiti.

Il Comando delle operazioni militari in Siria guidato da HTS ha allestito dei “centri di riconciliazione” in cui l’ex personale del governo di Assad può consegnare le armi e ricevere documenti d’identità temporanei, ma alcuni testimoni indicano che numerosi individui sono stati rapiti e trovati morti, anche dopo aver consegnato le armi.

Rami Abdulrahman, direttore dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR) con sede nel Regno Unito, ha dichiarato di aver ricevuto segnalazioni secondo cui le forze di sicurezza governative stavano effettuando arresti casuali di sostenitori dell’ex governo siriano di Bashar al-Assad.

“Abbiamo bisogno di giustizia e di transizione, non di giustizia vendicativa”, ha detto in un’intervista telefonica. “La nuova Siria dovrebbe essere uno stato di giustizia, democrazia, uguaglianza e diritto”.

Il SOHR ha inoltre documentato almeno 85 omicidi commessi in tutta la Siria, che hanno causato 144 vittime.

A Suwaida incontriamo il leader dei drusi, la setta siriana forse più pacifica, non è in cattivi rapporti con HTS perché hanno sempre manifestato, anche se pacificamente, contro il regime di Assad.

“Nessuno di noi ha usato o vuole usare le armi, ma le abbiamo, e siamo pronti ad usarle se si cercasse di cambiare quello che siamo”, ci dice una donna in condizioni di anonimato, capelli al vento, avvocata, emancipata, con alle spalle sei mesi di prigione e torture per aver manifestato.

“Come drusi e come tutte le altre comunità, ci aspettiamo una Costituzione civile, secolare, dove tutti possano vivere sotto l’ombrello della giustizia”, ci dice Sheik Hikmat Al Ajari, il leader della comunità drusa nella sua casa protetta da guardie ben armate.

È strano per un leader religioso parlare di secolarismo, ma sembra chiaro a tutti che l’unico modo per sentirsi siriani e poter continuare a vivere in pace all’interno delle proprie differenze, serve vivere in un sistema neutrale, dove nessuno è più comunità dell’altro.

“Abbiamo finito la prima fase della rivoluzione ora ci tocca decidere che tipo di governo vogliamo avere. Come druso sono stato il primo a chiedere laicità. Siamo stati la chiave per uscire dalla dittatura e non saremo parte della costruzione di un sistema che non rispetta tutti. Se non sarà così questo governo avrà vita breve”.

Qual è la soluzione? Il federalismo? “Il federalismo è un’opzione, ma prima ci serve una Costituzione, poi ci serve una conferenza di tecnici che sappiano costruire uno stato e dove partecipino tutte le fazioni e poi un parlamento. Il regime di Bashar era un sistema di occupazione, mi auguro che l’Europa, le Nazioni Unite ci aiutino ad avere delle garanzie”.

In un caffè incontriamo Haitham Saab, 60 anni, druso, professore di filosofia che ha perso il lavoro perché era contro Assad.

“La Siria sta vivendo una fase di transizione, sta passando da una dittatura totale ad un futuro ambiguo. Ci affidiamo ai paesi civili per aiutarci ad uscire da questa crisi”.

Saab non nasconde la sua preoccupazione verso le nuove autorità, non li ritiene musulmani moderati, come cercano di mostrarsi e come l’Occidente vuole credere che siano.

“Ci sono molti pericoli che riguardano il ritorno degli islamisti salafiti, ci sono interessi regionali che riguardano altri paesi e ci sono le risorse della Siria che devono essere distribuite in modo uguale tra i siriani.

Temo che altre nazioni con interessi diversi dai nostri, ci impongano di continuare a combattere, scatenino scontri tra fazioni e sette religiose”.

“Abbiamo bisogno di un dialogo inclusivo, una Costituzione che non ci divida ma ci unisca, ogni cittadino uguale all’altro con uguali diritti e doveri”.

La questione della Costituzione è un punto fondamentale nel processo di costruzione di una nazione.

Andiamo alla facoltà di legge per chiederlo ai massimi esperti di diritto della Siria e troviamo un muro.

Prima andiamo nella sede di studi politici, ma il rettore ci dice che non possono parlare anche se poi off the record, lo farà un professore di strategia politica con delle intuizioni interessanti.

Ci rimbalzano verso la facoltà di diritto, il rettore che insegna diritto Costituzionale è alla scrivania in compagnia di un professore di diritto finanziario e un altro penale, ci dicono che non possono parlare senza il consenso dell’ufficio relazioni esterne.

Chiamano il responsabile, un ragazzo molto più giovane di loro con una elegante barba islamica al contrario degli altri che probabilmente per poter insegnare alla facoltà di legge durante un regime, non dovevano essere dei dissidenti.

Il giovane barbuto ci dice che possiamo fare solo domande accademiche. E rispondiamo che vogliamo solo sapere come legalmente si costruisce una Costituzione? Come legalmente verranno perseguiti quelli del regime che hanno violato i diritti umani e come, per non lasciare indietro nessun dei professori presenti, si riformerà un sistema economico corrotto.

“Queste sono domande politiche”, sussultano tutti. “Puoi chiedere quanti studenti ci sono alla facoltà di legge”. Non ce ne importa niente di quanti studenti ci sono alla facoltà di legge, borbotto mentre una vena del collo mi si gonfia, ripeto che mi interessa sapere come si costruisce accademicamente una Costituzione.

Mi guardano e non rispondono. Va bene, lo chiederò ad un professore di legge del Qatar, visto che ve la scriveranno loro.

Se avessero potuto trapassarmi con una lama, lo avrebbero fatto, ma per il momento sono finiti i tempi delle torture, almeno di quella parte, “Ci fa arrabbiare quello che detto”, dice il rettore. Ho detto solo la verità, signor rettore, dovreste cominciare ad abituarvici. Ci alziamo, inforchiamo le giacche e ce ne andiamo mentre sono tutti ancora paonazzi e non dal freddo.

Qatar e Turchia sono le nazioni dietro a Hts e probabilmente sono quelli che più di ogni altro controllano le nuove autorità e che avranno una voce in capitolo, se non la si vuole chiamare interferenza, nel futuro della Siria.

I cristiani

Anche i cristiani a Damasco sono preoccupati, come ci aveva raccontato il parroco francescano alla vigilia di Natale, dove anche lui chiedeva una Siria per tutti.

Ma bisogna uscire dalla capitale, per rendersi conto come nell’entro terra la situazione sia più complicata, la popolazione della città storica cristiana di Maaloula si è dimezzata per le minacce provenienti dai musulmani. A Maaloula, si parla ancora l’aramaico, l’antica lingua di Gesù.

Un collega ci ricorda dell’episodio delle 13 suore rapite a Maaloula nel 2014 da Al Nusra, il gruppo originario di Ahmed Sharaa, Al Nusra (un ramo di Al Qaeda) tenute per 3 mesi e rilasciate dopo un negoziazione con Libano e Qatar.

Durante la sua prima intervista televisiva nel 2014, al Sharaa dichiarò ad Al Jazeera che la Siria avrebbe dovuto essere governata secondo l’interpretazione della “legge islamica” del suo gruppo e che le minoranze del paese, come i cristiani e gli alawiti, non sarebbero state prese in considerazione.

Tornando ad oggi, e comprendendo lo scetticismo dei cristiani, il Consiglio mondiale degli Aramei (WCA) riferisce che la popolazione cristiana di Maaloula è diminuita da 1.000 a meno di 200 unità da quando il nuovo governo ha preso il potere e ora “deve affrontare un’allarmante escalation di minacce, attacchi con armi da fuoco ed espulsioni.

La WCA ha riferito che i militanti della Brigata Sultan Suleiman Shah dell’Esercito nazionale siriano (SNA) sostenuto dalla Turchia, guidati da Abu Amsha, stanno “facendo irruzione nelle case, intimidendo le famiglie e impartendo ordini ai cristiani di lasciare Maaloula, esercitando una pressione incessante per costringere gli ultimi aramei ad abbandonare la loro patria.

In un video di 8 minuti di sfogo anticristiano, uno dei luogotenenti di Ahmad Al Sharaa, Abo Ahmad AlJazairi, ha promesso di sterminare i cristiani in Siria per aver innalzato la croce durante le recenti proteste a Damasco.

I curdi

Più isolati e ancora in guerra per le continue incursioni dei Turchi alleati di HTS, i curdi escono poco dalla loro zona, tuttavia con i drusi stanno organizzando per formare un’alleanza con loro, il 23 dicembre i principali leader curdi si sono incontrati nella Siria nord-orientale nella speranza di formare una delegazione politica unita per negoziare con il governo di transizione di Damasco in merito ai diritti, alle richieste e al futuro dei curdi in una Siria post-Assad.

Quando l’incontro nella città di Hasakah, a cui hanno partecipato membri della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti (USA), si è concluso, le parti opposte non erano per niente più vicine a un accordo.

Dopo l’incontro, tra Mazloum Abdi, comandante in capo delle Forze democratiche siriane (SDF), e la presidenza del Consiglio nazionale curdo (KNC), le SDF hanno rilasciato solo una breve dichiarazione: “La comunità curda in Siria ha una caratteristica unica nella sua organizzazione politica e sociale: include decine di partiti e movimenti politici”, ha detto a Syria Direct Parwin Youssef, co-presidente del Democratic Union Party (PYD).

Mentre questo “pluralismo riflette la vitalità della comunità, impone sfide al raggiungimento di una visione unitaria”.

Tutti vogliono unità

Con la caduta del regime di Bashar al-Assad, l’8 dicembre, nella Siria nordorientale sono emerse voci curde che chiedevano la ripresa del dialogo politico interno, il superamento delle divergenze tra i diversi partiti e la formazione di un’unica delegazione che rappresentasse i curdi siriani.

Una posizione politica unitaria è da tempo una “richiesta popolare curda”, ha affermato Kamal Najem, scrittore e poeta che vive a Rumeilan, una città a est della città di Qamishli di Hasakah.

Tuttavia, “i motivi per realizzarla si sono notevolmente moltiplicati, trasformandola da una semplice richiesta popolare a una decisione fatale da cui dipende il futuro dei curdi in Siria”, ha aggiunto.

Se gli organismi politici rivali non riescono a unirsi, i curdi rischiano di perdere il riconoscimento costituzionale della loro presenza e dei diritti nazionali, politici e culturali.

Il dialogo curdo-curdo in Siria coinvolge due blocchi principali. Da una parte, ci sono i Partiti di Unità Nazionale Curdi , 25 partiti politici tra cui il PYD, l’ala civile delle SDF, che ha fondato l’Amministrazione Autonoma della Siria Settentrionale e Orientale (AANES). Dall’altra parte del tavolo, c’è il KNC in Siria , che comprende 12 partiti e organizzazioni politiche.

Le controversie tra questi due blocchi risalgono ad anni fa. Ogni parte accusa l’altra di essere leale verso potenze straniere e incapace di prendere decisioni indipendenti.

Per il PYD, questo si riferisce ai legami del partito con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) in Turchia. Per il KNC, si riferisce alla sua rappresentanza nella Coalizione nazionale delle forze di rivoluzione e opposizione siriane con sede a Istanbul, che è accusata di essere subordinata alla Turchia.

Nonostante i ripetuti sforzi internazionali per avvicinare le due parti, il dialogo diretto è bloccato dal 2020.

Dopo la caduta del regime, gli Stati Uniti e la Francia hanno avviato degli sforzi per riprendere il dialogo sotto la supervisione della coalizione internazionale e delle SDF.

Si sono tenuti diversi incontri tra i Kurdish National Unity Parties guidati dal PYD e il KNC per formare una visione e delle richieste unitarie.

Una delegazione francese ha incontrato di recente i partiti guidati dal PYD il 24 dicembre a Qamishli per accelerare il dialogo con il KNC. Finora, questi sforzi non hanno fatto progressi significativi verso l’avvicinamento dei partiti curdi siriani o delle loro prospettive.

La mancanza di un accordo preoccupa i curdi siriani, che cercano un ampio quadro politico che rappresenti tutti i curdi, soprattutto alla luce delle crescenti minacce turche e dell’esistenza di un nuovo governo de facto a Damasco il cui orientamento generale verso i curdi non è chiaro.

Al momento, la priorità per tutti è venire a Damasco e formare alleanze con le forze nazionali e democratiche siriane.

Altrimenti il più forte e il più chiaro, prenderà il sopravvento sugli altri, e questa è una storia già vista in Siria e che nessun siriano sembra voler rivivere.

 

Da https://www.radiobullets.com/


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