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Rai: senza tetto né legge

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La Rai sta vivendo un momento particolarmente pericoloso.  Calano in prime time -salvo eccezioni- gli ascolti (Mediaset tallona il servizio pubblico, La7 cresce come la Nove), le certezze finanziarie non ci sono, l’oppressione e l’ingerenza del governo offuscano il palinsesto consegnando all’utenza dei programmi flop nati per esclusive ragioni politiche. Non parliamo del Tg1 e del Tg2 in discesa piuttosto consistente. Ma la pazienza di coloro che sono legati ancora all’offerta generalista (e sono tanti, benché le cosiddette modalità non lineari siano in costante crescita) non è eterna. Per di più, nella stagione dell’intelligenza artificiale sembra che l’azienda non abbia trovato ancora un ubi consistam.

La combinazione tra i vari fattori fa lanciare un allarme rosso, senza alcuna ridondanza retorica.

C’è da tempo una scuola di pensiero più liberista che liberale che sostiene la necessità di rimettere al mercato l’ardua sentenza sul futuro di una pur nobile impresa pubblica riformata nel 1975 e controriformata nel 2015 da una legge fortemente voluta dall’allora presidente del consiglio Matteo Renzi. Naturalmente, secondo una linea già sperimentata con Telecom e Alitalia (mutatis mutandis), prima si riduce il valore e poi si vende qualche pezzo: magari quelli pregiati. Vedi il caso di RaiWay, la società delle torri di trasmissione che ora si sta esercitando nel ghiottissimo agone dei dati. Ma chissà che ci riserva il destino, vista la debolezza di un gruppo dirigente dimidiato -non c’è il presidente nei termini previsti dalla normativa- e preso tra i  fuochi del governo nonché di un’infosfera aggressiva popolata da Musk e grandi fratelli.

Veniamo a questioni di strettissima attualità. Lavoratrici e lavoratori della storica sede di viale Mazzini di Roma sono messi in smart working a causa di aree contaminate dall’amianto. Non si può dare la colpa agli attuali amministratori, evidentemente. Si tratta di una vicenda antica, ora -però- esplosa per l’emergenza del pericolo.

Inoltre, venendo al nocciolo della legge da anni attesa per ridare compiti certi e un’adeguata struttura di comando alla conclamata maggiore (?) azienda culturale italiana, siamo vicini alle comiche finali.

In nome del «via i partiti dalla Rai» si attende un accordo proprio tra i partiti per sbloccare in seno alla commissione parlamentare di vigilanza il voto vincolante sulla presidenza. La questione si è attorcigliata anche per l’insistenza della maggioranza su di un unico nome e, stando così le cose, per l’inevitabile indisponibilità delle forze di opposizione. E perché mai dovrebbero sedersi a un tavolo con menù prestabilito e posti a sedere già assegnati?

Forse solo una chiara, impegnativa tempistica della riforma potrebbe portare a qualche schiarita. Presso la competente commissione del Senato è pure iniziato l’iter formale, ma senza un preciso calendario e una esplicita volontà dei soggetti in campo. Eppure, non ci vorrebbe molto per trovare un’intesa su punti essenziali, dopo il varo dell’European Media Freedom Act, il cui articolo 5 riguarda i criteri della governance, evocati pure da un significativo ricorso al TAR. La durata attuale di tre anni per l’istituto consiliare non ha molto senso, per l’asimmetria con la tempistica del Contratto di servizio e per la delineazione di una effettiva strategia aziendale.

Tra l’altro, la presidente della Commissione Barbara Floridia -cui si deve la recente convocazione di interessanti ma purtroppo privi di operatività Stati generali- può continuare ad assistere al progressivo svuotamento dell’organismo che dovrebbe dare indirizzi e visioni?

In diversi testi di riforma non per caso si suggerisce l’abolizione della medesima Commissione, nata quando c’era il monopolio di stato.

Se non riesce ad espletare i suoi doveri, effettivamente il senso di tale assise viene meno, senza offesa per chi legittimamente ne fa parte o la presiede.

Una scossa sarebbe salutare già nei prossimi giorni. Invece di attaccare una delle poche trasmissioni non omologate come Report, si pensi a salvare un apparato che pare avere smarrito rotta e carte geografiche.

 

 

 

 

 


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