Il silenzio non ci appartiene. Di abbassare i toni, come consiglia sempre qualcuno in maniera pelosa, non ci passa neanche per la testa. Su Cecilia Sala e sulle donne e gli uomini reclusi nell’inferno di Evin bisogna, al contrario, accendere i riflettori e illuminare a giorno: nomi, cognomi, storie, drammi, speranze e prospettive, nel contesto di un paese, l’Iran, attraversato da una ribellione contro cui il regime degli ayatollah, per la prima volta dopo quasi mezzo secolo, si sente nudo. Non a caso, al netto della presenza al potere di un presidente moderato come Masoud Pezeshkian, esecuzioni e incarcerazione sono all’ordine del giorno.
Cecilia, ricordiamolo, è vittima di un intrigo internazionale, che coinvolge l’Italia, gli Stati uniti, l’ingegnere svizzero-iraniano Mohammad Abedini-Najafabadi. Non solo di lei e della sua incolumità, tuttavia, vogliamo occuparci ma, come per l’Egitto e il caso Regeni, di tutte le Cecilia d’Iran che patiscono le pene dell’inferno nel carcere di Evin, ribattezzato dānešgāh (l’università) per via dell’altissimo numero di laureati e intellettuali che vi sono reclusi.
Ci accompagna in questo viaggio Samirà Ardalani, figlia di due dissidenti iraniani esuli in Italia e oggi membro dell’Associazione giovani iraniani residenti in Italia.
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