Parlando con Luchino Chessa e Nicola Rosetti, presidenti delle associazioni dei familiari delle vittime della Moby Prince, appare chiaro che anche nell’anno appena iniziato il loro impegno per la ricerca della verità sulla morte dei loro 140 cari non verrà meno. Si tratta di un impegno non solo personale per cercare risposte alle domande sulla strage di quel tragico 10 aprile 1991 davanti il porto di Livorno; ma è anche un impegno ‘politico’ nel senso pieno del termine. Come ha scritto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio per il 30° anniversario della strage “L’impegno che negli anni ha distinto le associazioni dei familiari rappresenta un valore civico e concorre a perseguire un bene comune”. Non è un fatto privato, insomma. O meglio: non è solo quello.
“Nel 2025 – dicono Chessa e Rosetti – saremo ancora più determinati nella ricerca della verità. Certo, dopo quasi 34 anni la stanchezza si fa sentire; abbiamo dovuto lottare per molto tempo da soli. Chiedevamo verità e giustizia ma le sentenze parlavano di una tragedia frutto di fatalità e di errori umani. Ma noi non ci siamo arresi. Abbiamo difficoltà a conciliare gli impegni familiari e lavorativi con le attività delle due associazioni (la 10 Aprile-Familiari Vittime Moby Prince e la Associazione 140, ndr) che assorbono tempo ed energie. Ma rinnoviamo l’impegno per la ricerca della verità insieme ai nostri consulenti e collaboratori con cui lavoriamo da anni. Speriamo anche di avere nel 2025 novità significative dalla commissione parlamentare di inchiesta che sta lavorando ormai da quasi un anno”.
La tragedia del traghetto Moby Prince si consuma la sera del 10 aprile 1991 davanti al porto di Livorno. La nave passeggeri appena salpata alla volta di Olbia entra in collisione con la petroliera di Snam, Agip Abruzzo, ferma all’ancora nella rada del porto. Dopo la collisione si innesca un incendio e lo sversamento di petrolio in mare. Solo un membro dell’equipaggio del traghetto, Alessio Bertrand, si salverà buttandosi in mare; tutti gli altri perderanno la vita a bordo.
Secondo la versione ufficiale data la notte stessa del 10 aprile il traghetto della compagnia Navarma, oggi Moby Lines dell’armatore Onorato, entrò in collisione con la petroliera a causa di un improvviso banco di nebbia. Sulla nave passeggeri, sempre secondo la versione ufficiale, sarebbero morti tutti in mezz’ora rendendo impossibile il salvataggio dei 141 a bordo. Le sentenze giudiziarie hanno poi confermato questa versione dei fatti parlando di “errore umano” del comando della Moby Prince. Per 27 anni la responsabilità della collisione è stata così attribuita a una circostanza meteorologica imprevedibile e a chi non poteva più parlare. “Questi due punti – dicono Rosetti e Chessa – nel corso degli anni sono stati messi in discussione solo dalle nostre associazioni; siamo sempre stati convinti, infatti, che le sentenze del Tribunale di Livorno prima e della Corte di Appello di Firenze poi fossero gravemente lacunose e non spiegassero le cause di quella che è la maggiore strage sul lavoro in Italia; 65 dei 140 morti erano membri dell’equipaggio e hanno perso la vita sul loro posto di lavoro. Ci teniamo a precisare che sono stati ritrovati tutti al loro posto, come prevedeva il piano di emergenza, in attesa dei soccorsi che non sono mai arrivati. Per porre maggiore attenzione sulla sicurezza nei trasporti marittimi e ricordare i membri dell’equipaggio morti facendo il loro lavoro abbiamo scritto ai segretari di Cgil, Cisl e Uil, Landini, Sbarra e Bombardieri; non abbiamo avuto nessuna risposta”. La versione ufficiale dei fatti ha sicuramente indirizzato il processo e le sentenze, così come la richiesta di archiviazione nel 2010 della Procura dei Livorno dopo una riapertura delle indagini.
“Le sentenze penali e la archiviazione – dice Chessa – sembravano la pietra tombale sulla ricerca della giustizia per la morte dei nostri cari. Ma con i nostri consulenti non ci siamo arresi e abbiamo chiesto di avviare una inchiesta parlamentare. E il Parlamento ha ascoltato le nostre richieste assumendosi la responsabilità di fare chiarezza iniziando un lungo e approfondito lavoro di inchiesta”.
La commissione di inchiesta del Senato (dal 2015 al 2018) presieduta dal senatore Silvio Lai si è concentrata sulla decostruzione della versione dei fatti sulla quale si fondavano le sentenze giudiziarie. Sono così affiorati importanti verità: non c’era nebbia nel momento della collisione tra le navi; non ci fu nessuna negligenza da parte del comando del Moby Prince; la sopravvivenza a bordo del traghetto si protrasse fino alla mattina successiva, dunque ben oltre i 30 minuti; ci fu una attività di salvataggio solo nei confronti della petroliera e non del Moby Prince.
Queste importanti novità sono state poi condivise dalla commissione di inchiesta della Camera dei deputati (dal 2021 al 2022) presieduta dall’on. Andrea Romano dal cui lavoro sappiamo che la petroliera era nella zona di divieto di ancoraggio; che la Moby Prince non aveva nessuna avaria al timone e alle eliche e che l’esplosione a bordo del traghetto è avvenuta dopo la collisione ed è stata innescata dai gas prodotti dal petrolio liberati successivamente alla collisione. La seconda commissione si è concentrata, in particolare, sulla ricostruzione degli attimi immediatamente precedenti la collisione giungendo alla conclusione che la Moby Prince sia stata costretta a virare per evitare un ostacolo che si è trovata davanti improvvisamente quando era in prossimità della petroliera.
Grazie poi ad una consulenza ad hoc la commissione ha anche approfondito l’accordo assicurativo stipulato da Navarma/Moby e Eni/Snam dopo appena due mesi il tragico evento e rimasto segreto fino al 2017. Di fatto si tratta di un “accordo di non belligeranza” tra le parti sottoscritto senza aspettare la conclusione del procedimento penale sulla base del quale si sarebbero determinate le responsabilità in merito all’evento. Questo accordo ha orientato la ricostruzione dei fatti e condizionato i procedimenti giudiziari.
Le due commissioni hanno anche biasimato il comportamento di Eni (che di fatto era la società armatrice della petroliera) in tutti questi anni, comportamento caratterizzato dalla mancanza di collaborazione con le commissioni in merito alla ricerca della verità; infatti, dopo quasi 34 anni rimangono ancora sconosciuti la provenienza della Agip Abruzzo, la tipologia e la quantità del carico che stava trasportando e le attività che si tenevano a bordo durante la sosta nella rada di Livorno. La fine anticipata della legislatura nel luglio 2022 non ha permesso alla commissione di approfondire tutti gli elementi circostanziali della vicenda che potrebbero dare finalmente una spiegazione esauriente su ciò che accadde quella notte.
“Grazie al lavoro del Parlamento – spiega Chessa – sappiamo che le condizioni di visibilità quella sera erano buone e che la condotta del comando del traghetto e di tutto l’equipaggio è stata attenta e diligente. Niente nebbia e nessun errore umano dunque”. “Ma la cosa che ci ha colpiti maggiormente fra le altre – sottolinea Rosetti – è aver saputo che non c’è stata nessuna attività di soccorso pubblico nei confronti dei passeggeri e dell’equipaggio del traghetto da parte della Capitaneria di Porto di Livorno e della Marina Militare. Se fossero stati attivati i soccorsi sarebbero state sicuramente salvate alcune persone, tenuto conto che la sopravvivenza a bordo si protrasse per molte ore dopo la collisione”.
A seguito delle novità emerse dopo l’indagine parlamentare i familiari hanno presentato richiesta di risarcimento al ministero della Difesa e a quello dei Trasporti responsabili della sicurezza del trasporto marittimo davanti al porto di Livorno. La Corte d’Appello di Firenze (quarta Sezione civile) alla fine del 2023 ha confermato la sentenza di primo grado e respinto nuovamente la richiesta di risarcimento condannando i familiari delle vittime della Moby Prince al pagamento delle spese legali.
Dopo queste amare vicissitudini Nicola Rosetti e Luchino Chessa trovano anche motivi per guardare al futuro con fiducia. “Dopo quasi 34 anni – dice Chessa – grazie al lavoro di due commissioni parlamentari siamo arrivati ad un punto di non ritorno. Quasi tutta la nebbia accumulata negli anni è stata tolta; adesso ci auguriamo che la nuova commissione guidata dall’on. Pietro Pittalis arrivi alla piena verità sulla morte dei nostri cari completando il lavoro fatto fin qui. Le nostre associazioni hanno voluto fortemente questa nuova commissione; fin dall’inizio della legislatura nell’ottobre del 2022 abbiamo scritto ai presidenti delle Camere, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, e ai presidenti di tutti i gruppi parlamentari per chiedere che il Parlamento proseguisse e completasse l’ottimo lavoro fatto fin qui. Certo, c’è voluto un anno e mezzo perché venisse istituita (nel marzo del 2024) ma quello che conta per noi adesso è che ci sia una commissione che lavora e che faccia chiarezza sulla turbativa alla navigazione che ha determinato la virata della Moby Prince, e la conseguente collisione, e sull’accordo assicurativo (rimasto segreto fino al 2017 e trovato dalla commissione del Senato). Non abbiamo notizie dirette sull’andamento dei lavori che seguiamo dal sito della Camera; ci auguriamo che dopo una prima fase di allineamento sul lavoro fatto fin qui e di studio della ingente mole documentale che caratterizza la vicenda del Moby Prince questa commissione arrivi a conclusioni significative, degne del lavoro fatto nelle precedenti legislature. Dopo quasi un anno dall’insediamento della terza commissione attendiamo fiduciosi i frutti del lavoro dei commissari”.
Le relazioni delle commissioni, che hanno sovvertito le lacunose sentenze del Tribunale di Livorno e della Corte di Appello, sono state approvate all’unanimità grazie al lavoro portato avanti in spirito bipartisan; così facendo il Parlamento ha scritto una pagina di buona politica assumendosi la responsabilità di dare risposte sulle cause di un evento così grave sulle quali, ad oggi, l’autorità giudiziaria non ha più modo di indagare per sopraggiunta prescrizione dei reati, eccetto quello di strage.
“La terza commissione – dice Chessa – ci auguriamo possa anche chiarire quali depistaggi ci sono stati (perché ce ne sono stati) e chi ne è responsabile. Siamo davanti all’ultimo miglio, forse il più difficile ma non meno importante. È proprio grazie al lavoro di inchiesta del Parlamento che si sono aperti importanti squarci di verità su quella strage e siamo arrivati ad un passo dalla completa ricostruzione di quanto accaduto davanti al porto di Livorno la sera del 10 Aprile 1991”.
“Non possiamo aspettare ancora – ribadisce Rosetti -. Vogliamo arrivare ad una verità storica; lo dobbiamo alle 140 vittime del Moby Prince, a tutti i familiari e alla nostra Nazione; e il Parlamento può dare le risposte che ancora mancano. Soprattutto non vogliamo lasciare questa battaglia alle nuove generazioni, ai nostri figli e nipoti. A loro vogliamo raccontare la verità”.