80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Le parole che hanno ucciso Jordan

0 0

Ange Jordan Tchombiap aveva solo 19 anni, nella sua valigia più dolori che speranze. Soprattutto quel fratello deceduto in Libia, violenze, sevizie, ricatti lungo la strada della speranza, che per lui era stata della morte. Jordan lo aveva seppellito nel deserto, ma se lo portava dentro, si rimproverava di non essere riuscito a salvarlo. Lui in Italia era arrivato, ad aprile 2024, al centro di accoglienza di Isola Sant’Antonio, provincia di Alessandria, da settembre. Studiava, aveva imparato, in fretta e bene, l’italiano, sarebbe tornato in palestra, perché nel suo paese d’origine aveva praticato il pugilato. Ieri mattina era a Tortona, dentro un bar tabaccheria, per fotocopiare il suo curriculum: l’avrebbe distribuito, voleva lavorare, crearsi una sua indipendenza, spinto da quella voglia di libertà, dignità e rispetto alla
base della scelta di lasciare la sua terra, il Camerun, e i suoi affetti. Non potrà più farlo, perché ha visto una persona che gli stava portando via tutto ciò che possedeva, un monopattino. Ha provato a fermarlo, è stato accoltellato, un unico colpo al petto che gli è stato fatale. Questa è la cronaca, in cui chi fa informazione, a livello locale e nazionale, e non è la prima volta, non è riuscito a moderare l’onda di odio nei commenti sui social sotto gli articoli, altre coltellate fortissime al cuore di un ragazzo che voleva solo costruirsi opportunità, integrarsi, imparare bene la nostra lingua, essere parte di una comunità. “Se l’è cercata”, “se fosse rimasto a casa sua non succedeva”, “ringrazi i sinistri”, “uno in meno”, “fosse affondato il barcone su cui eri sarebbe stato meglio”, “avessimo Trump al posto dei fautori degli sbarchi
avremmo visitato questo fatto di cronaca”. E altre espressioni molto, ma molto più pesanti. Disumane Bisogna avere il coraggio di eliminare certi commenti, di non considerare i social come un “liberi tutti”, di non sentirsi esenti da colpe solo perché sono altri a ‘vomitare’ violenza, disprezzo e, quindi, mettere uno spazio a loro disposizione è un modo ‘aperto’ di fare informazione. Non basta, il giorno dopo, capire di aver sbagliato, chiedere scusa a Jordan. avvitandosi attorno a ragionamenti vuoti (ma senza, comunque, eliminare i commenti)
Le parole sono pietre e nel caso di Jordan parte dell’informazione non ha evitato che distruggessero quel ponte di speranza che un ragazzo di 19 anni aveva provato a costruire.

 

 


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21