Si sono celebrati i funerali di Furio Colombo al cimitero acattolico di Roma, al Testaccio.
Ci ha lasciati una personalità davvero notevole: coltissima e appassionata, rigorosa e multiforme. Si sono dette e scritte tante cose sinceramente affettuose e assai documentate su una figura stimatissima in vari campi: dai giornali, all’accademia, alle aziende, al parlamento.
Chi ha avuto l’opportunità di conoscerlo direttamente può testimoniare che da vicino era persino meglio dei numerosi elogi, per la chiarezza e la sincerità che aveva nei rapporti umani.
Con chiunque, senza accondiscendenza verso gli star system. Tale attitudine è stata la conferma che le persone grandi sono anche umili e discrete.
C’è una doverosa aggiunta da aggiungere ai vari ricordi. L’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico gli fece una lunga intervista per tenerla nella propria documentazione, secondo lo stile dell’AAMOD che intende preservare la memoria, oggi e per il futuro. In quella conversazione (che ebbi l’onore e il piacere di condurre insieme a Ugo Adilardi, Milena Fiore, Marco Neri) mi parve giusto chiedere a Furio un parere sulla vicenda di Julian Assange, allora costretto nel carcere speciale di Belmarsh a Londra. Pendeva sulla sua testa la richiesta di estradizione negli Stati Uniti con la condanna potenziale a 175 anni di reclusione. La morte, insomma. Ecco, Colombo -pur molto legato agli USA- fu nettissimo.
Rispose che secondo la cultura anglosassone contano i precedenti. Se si estradasse Assange sarebbe -sottolineo’- un precedente gravissimo per la libertà di informazione. Chapeau: un’ennesima lectio magistralis di un maestro. Per ciò che significa il giornalismo e per ciò che significa essere liberali, sul serio.