BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Furio Colombo che non disse mai di no

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La prima volta fu l’11 gennaio 2008, l’ultima il 7 gennaio 2021: in mezzo tredici anni e una vita, la mia, che nel frattempo aveva intrapreso la via del giornalismo. La prima volta non facevo ancora parte della famiglia di Articolo 21 (vi sarei entrato nel novembre del 2008), l’ultima ne facevo parte da tredici anni ed ero alla vigilia della mia inchiesta sul G8 di Genova.
Scusate se parlo un po’ di me, ma di Furio Colombo è stato già detto tutto, anche su queste colonne, pertanto preferisco un ricordo personale, grazie al quale far comprendere la straordinarietà del personaggio. Furio, infatti, era grande al di là dei suoi incontri, delle sue interviste, dei ruoli che ha ricoperto, delle sue amicizie prestigiosissime e della cultura smisurata che lo caratterizzava. Era immenso perché dedicava tempo anche a un poco più che adolescente, che tornava da scuola e gli chiedeva un’intervista su un saggio, “Post giornalismo”, dal valore profetico: un gioiello che oggi andrebbe riletto con scrupolo. Lui che aveva conversato con i Kennedy, accompagnando Bob nella campagna elettorale del ’68, prima che venisse assassinato da Shiran Shiran presso l’Hotel Ambassador di Los Angeles, e restando in ottimi rapporti con Ted, di cui era più che amico, lui che aveva assistito alle marce del reverendo King e ai giovani contestatori di Berkeley e di Woodstock, lui che aveva incarnato l’America della FIAT e dell’Istituto italiano di cultura a New York, lui che era stato l’ultimo a intervistare Pasolini prima che venisse ucciso all’Idroscalo di Ostia, lui che era quanto di meglio il pensiero liberaldemocratico avesse saputo produrre dal dopoguerra in poi, uno così trovava il tempo per rispondere alle domande di un ragazzino che sognava di diventare giornalista e aveva a disposizione al massimo un telefono fisso col vivavoce e un registratore digitale. Mai un no, mai un rifiuto, mai una volta che Furio abbia trovato una scusa per sottrarsi. Sulla riforma Gelmini, sul berlusconismo, sulla crisi del PD, sui ricordi americani e sui suoi novant’anni, il giorno dopo l’assalto trumpista a Capitol Hill, quando chiunque avrebbe voluto avere un suo parere e lui aveva scelto di partecipare a una sconosciuta trasmissione online, lasciandosi torchiare per quasi un’ora su un evento di portata mondiale: per me c’è stato sempre.
Furio, del resto, era fatto così: in ogni caso dalla parte dei giovani. A tal proposito, dicevamo di Genova: era da poco diventato direttore della nuova Unità quando, nel luglio del 2001, il capoluogo ligure venne segnato dalla furia delle forze dell’ordine, e anche in quel caso lui e il suo giornale erano lì, insieme ai più grandi registi del cinema italiano, a intellettuali di livello mondiale e alla sua redazione corsara, che denunciò tutto senza infingimenti. Violenze, soprusi, ingiustizie, coperture dall’alto, balle a ripetizione doverosamente smascherate: sull’Unità di Colombo e Padellaro nessuna croce mancava. Allo stesso modo, non mancò una battaglia strenua contro il berlusconismo arrembante, l’editto bulgaro, le guerre in Afghanistan e in Iraq e i cedimenti della sinistra, che stigmatizzava da par suo, subendo gli strali, pubblici e privati, dei vertici dei DS, confusi e increduli al cospetto di un giornale che non voleva essere di partito ma d’area e, soprattutto, che aveva capito dove ci avrebbe condotto quella deriva e quanto fosse necessario, dunque, dar voce a personalità censurate altrove (un abbraccio, in tal senso, ad amici e familiari di Franco Piperno, scomparso oggi, simbolo della sinistra extraparlamentare, che con Colombo non c’entrava nulla ma al quale era accomunato dall’indole testarda e dal ripudio di ogni forma di conformismo).
Furio non era un antagonista ma sicuramente un irregolare, come testimoniano il suo modo di essere parlamentare e il suo contributo alla nascita del Gruppo ’63, con Eco e altri intellettuali d’avanguardia, e del Fatto Quotidiano, con i superstiti della battaglia in difesa della Costituzione e dei suoi valori, determinati a remare, sempre e comunque, in direzione ostinata e contraria. Non a caso, quando Giuliano Montaldo si aggirava per New York in cerca di Joan Baez, cui avrebbe voluto affidare l’interpretazione della colonna sonora di “Sacco e Vanzetti”, gli risolse il problema invitandolo a cena a casa sua e facendogli trovare Joan Baez seduta allo stesso tavolo.
Questa è stata la cifra di Furio: una vita spesa a lottare, a dire tanti dolorosi no e a battersi in nome della libertà d’informazione, dei diritti umani e della dignità della persona, ovunque nel mondo.
A novantaquattro anni se n’è andato. Se ho combinato qualcosa in questo “non periodo” (come lo definì un pomeriggio del 2012, mentre eravamo seduti insieme su un divanetto della Camera), è stato anche merito suo.
Un commosso addio.

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