80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Dieci anni dopo, siamo ancora tutti Charlie?

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Esattamente dieci anni fa sbarcavo a Parigi, accendevo il telefonino e scoprivo con sgomento che un’intera redazione era stata massacrata a colpi di kalashnikov per aver pubblicato delle vignette considerate blasfeme. Non si era mai vista una cosa del genere in Europa, una redazione di giornalisti assassinata per aver voluto difendere la libertà di espressione.

Di corsa mi recavo verso la rue Nicolas-Appert, nell’XI arrondissement, la polizia già aveva chiuso l’intero quartiere, io tiravo fuori il mio tesserino e riuscivo a passare e scattavo questa foto buia.

La scientifica era già arrivata sul posto, quella a terra era la bicicletta di un poliziotto, un poliziotto di nome Ahmed, di origine algerina, musulmano, falciato anche lui dalla scia di morte e terrore dei fratelli Kouachi che così vendicavano l’affronto di Charlie Hebdo ma finivano per morire falciati dai colpi della gendarmerie ironicamente proprio in una stamperia.

Da allora la città di Parigi non è stata più la stessa, la capitale francese si è chiusa in sé stessa, la satira stessa ha dovuto prendere altre strade, farsi clandestina e noi tutti siamo diventati più poveri, paralizzati ed impauriti.

All’epoca titolai il mio servizio sul quotidiano Linkiesta.it: “Hanno ucciso Voltaire” , la redazione lo lasciò  così com’era, era calzante quella metafora di come era facile uccidere lo spirito critico a colpi di arma da fuoco. Mentre calcavo quelle strade grigie e buie di quella mattina di 10 anni fa, riflettevo sulla brutta piega che stavano prendendo le cose in quel frangente storico. Nonostante la grande risposta di Parigi con una manifestazione monstre in difesa della libertà di stampa, il nostro mondo da allora è cambiato per sempre.

Fu sancito il concetto che nessuno era al riparo, che la libertà di espressione non era più garantita nemmeno in Europa, che si cercava insistentemente di spezzare le matite ai vignettisti e ai caricaturisti che disegnavano cose sconvenienti, che si poteva ammazzare e far tacere i giornalisti quando documentavano cose scomode, che si inviavano in esilio o al confino scrittori, artisti, intellettuali quando usavano la propria penna come arma per smontare le false ideologie, l’oscurantismo, il dogmatismo, la corruzione, la stupidità.

Ora come non mai occorre ricordare il sacrificio di quei vignettisti e di quei giornalisti che hanno pagato con la vita il voler sempre difendere a spada tratta la libertà sacrosanta di poter esprimere le proprie opinioni, di poter ridere di tutto senza timore di essere falciati dalle armi dell’intolleranza e dell’ignoranza.


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