Behrouz Ehsani, Mehdi Hosseini e Pakhshan Azizi: questi i loro nomi. Sono tre attivisti iraniani che presto potrebbero aggiungersi alla lunga schiera di persone giustiziate dal regime degli ayatollah per via della propria dissidenza. Persone eroiche, innocenti, la cui unica colpa è quella di esercitare il pensiero critico e di non arrendersi alla furia di un sistema che non rispetta nulla e nessuno, costringendo da quasi mezzo secolo un intero popolo a vivere nell’ombra, ad aver paura, a vergognarsi di se stesso.
Teneiamo a mente questi nomi, non ce li dimentichiamo. Non pensiamo che, liberata Cecilia Sala, l’Iran sia tornato democratico. Non è così. Cecilia è solo l’ultima vittima di un apparato repressivo che non guarda in faccia a nessuno, ma tanti fratelli e sorelle restano nelle carceri di quel Paese (non c’è solo Evin) e per loro nessuno spenderà le proprie arti diplomatiche.
Auspichiamo, dunque, che tutto questo finisca, che termini il loro isolamento e che nessuno si volti dall’altra parte di fronte a storie solo apparentemente lontane. “Il problema degli altri è uguale al mio”: lo sosteneva don Milani, lo scriviamo in una terra di partigiani, in cui uomini e donne hanno rischiato, e talvolta perso, la vita, subito anni di carcere e confino, pianto lacrime amare e patito l’indicibile per riaffermare un ideale di libertà. Ebbene, per citare ancora don Milani, “I care” (mi riguarda). Prendiamoci cura di questa gente. L’Iran è un paese più vicino di quanto non crediamo. È una terra ricca di storia, di fascino e di cultura, una nazione per nulla ostile all’Italia e in cui, anzi, si guarda all’Occidente con grande attenzione.
Evin è il buco nero che inghiotte le loro vite quando osano alzare la testa, proprio come Turi, Ventotene, Eboli e varie località della Sardegna inghiottivano i sogni e le prospettive di coloro che non chinavano la testa di fronte al fascismo.
Behrouz Ehsani, Mehdi Hosseini e Pakhshan Azizi: ribadisco questi tre nomi perché, da un momento all’altro, potrebbero non esserci più. Scriviamoli, per favore, facciamocene carico. Ogni ingiustizia che avviene nel mondo ci coinvolge, e come italiani abbiamo avuto modo di sperimentare quanto siano terribili le condizioni in cui si può sprofondare, da un momento all’altro, nel regno dell’ingiustizia e dell’arbitrio.
Mahsa Amini ha scosso le coscienze, ma non basta. Non basta commuoversi per la morte di una ragazza o quando qualcun’altra viene fermata perché si toglie il velo o si spoglia in un’università. Non basta l’indignazione momentanea, lo stupore di un attimo, la presa di coscienza che cede poi il passo al menefreghismo.
Bisogna raccontare le vicende di quegli attivisti che da dietro le sbarre, rinchiusi in celle minuscole, ogni settimana, da quasi un anno, fanno lo sciopero della fame. Bisogna dar loro voce quando hanno la fortuna di sopravvivere a quel mostro e non smettere mai di lottare. Avere voce, del resto, è ciò che sperano con tutte le loro forze le innumerevoli Cecilia iraniane per cui nessuno si mobilita come dovrebbe. Avere voce, ricevere attenzione, poter gridare, opponendosi all’odio che ricevono in quell’abisso, in cui una delle frasi più ricorrenti è: “Possiamo fare di te ciò che vogliamo perché qui non ti sente nessuno”. Ecco, per favore: facciamo in modo che questo non sia più vero. Se quelle voci uscissero da Evin e raggiungessero le nostre “tiepide case”, il regime comincerebbe a tremare. Perché la democrazia muore nell’oscurità, ma con essa scompare anche la speranza.
Chiediamo, pertanto, alla RAI, servizio pubblico, di parlarne, di fare i loro nomi, di lanciare un appello in nome dei diritti umani e della dignità della persona, della vita, sempre e comunque sacra, come lo è quella di Cecilia e di tutte e tutti coloro per cui noi stessi, con passione, ci siamo mobilitati.
Chiediamo alla stampa italiana di non lasciarli soli, di non dimenticarsi di loro, di non spegnere la luce su Evin, di ascoltare il loro grido di dolore e sofferenza, di farsene carico e di prendersi cura di un Paese in cui il solo fatto di scendere in piazza a manifestare può portare alla morte.
Sarebbe bello se almeno in un servizio al Tg1 (ma anche al Tg2, al Tg3 e a Rai News 24), sulla prima pagina di un grande quotidiano e magari in qualche speciale questi nomi risuonassero, prima che il cappio ne stronchi l’esistenza e, con essa, le loro aspirazioni.
Quest’anno, come ricordato, ricorre l’ottantesimo anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo. Ebbene, teniamo a mente Gramsci: odiamo gli indiffenti. Per favore, evitiamo di ssserlo.
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