Compagnia Godot di Bisegna-Bonaccorso.
Maison Godot Ragusa.
“Il castello”, di Franz Kafka, progetto e adattamento di Federica Bisegna.
Scena e regia di Vittorio Bonaccorso.
Con Federica Bisegna, Vittorio Bonaccorso, Lorenzo Pluchino, Alessandra Lelii, Alessio Barone, Benedetta D’Amato, Cristiano Marzio Penna, Rossella Colucci, Andrea Lauretta, Mattia Zecchin, Angelo Lo Destro, Riccardo Massari.
Joseph K. giunge in un borgo nei pressi di un Castello, sito che domina su tutto e tutti senza che nessuno abbia mai avuto la possibilità di accedervi. K. afferma di essere stato convocato in quel posto misterioso e distante per prendervi servizio come agrimensore. In realtà, egli si trova in stato di bisogno e cerca di farsi ricevere per tentare di arrivare al suo obiettivo, farsi assumere. Non ci riuscirà mai, se non da morto…
Federica Bisegna adatta magnificamente l’ultimo incompiuto romanzo di Franz Kafka, uscito postumo nel 1926, a due anni dalla scomparsa del suo autore. La messinscena di Vittorio Bonaccorso omaggia lo scrittore boemo a 100 anni dalla scomparsa, con uno spettacolo che ad oggi, e siamo sul finire dell’anno dell’anniversario, è l’unico in Italia ad essere stato realizzato con questo scopo. Il tutto in sinergia con il convegno organizzato, negli stessi giorni della messinscena, dall’Università degli studi di Catania, sezione didattica speciale di Ragusa Ibla, e coordinato dal prof. Giuseppe Traina.
“Il castello”, come spesso accade per le opere ultime dei grandi autori, è una sorta di compendio di tutti i temi cari a Franz Kafka.
La meta irraggiungibile di cui l’enorme edificio è simbolo e metafora insieme, l’organizzazione metafisica che la governa, rappresenta un potere invisibile e distante, che agisce attraverso una burocrazia labirintica, con la quale Joseph K. cerca, in continuazione, di entrare in contatto, ma ogni suo tentativo sembra fallire o essere ostacolato da incomprensioni e ostilità. Il tutto è stato interpretato in vari modi, soprattutto come una riflessione sulla difficoltà di comunicare, sulla solitudine dell’individuo e sulla tensione tra l’individuo e il sistema di dominio che sembra non avere alcuno scopo comprensibile. In realtà, nel tempo a queste interpretazioni se ne sono aggiunte altre di carattere metastorico e psicanalitico, che vedono nell’enorme edificio che si innalza verso il cielo una sorta di entità divina a cui l’Uomo nella sua piccolezza cerca di protendersi fallendo miseramente, perso in quei suoi limiti tutti “umani” che mai potranno portarlo oltre la soglia dell’intuizione. Adattare Kafka a teatro, come al cinema, è stata sempre una grande scommessa, talvolta vinta, vedi l’Orson Welles de “Il processo”, 1962, e Polanski con la sua “Metamorfosi” teatrale, più volte ripresa nel tempo. Vittorio Bonaccorso e Federica Bisegna omaggiano questo gigante della letteratura di ogni tempo lavorando per quadri che si susseguono sulle tavole della Maison Godot. L’incessante entrare e uscire dalla scena di tutti i protagonisti, dai poveri ai privilegiati, dagli intellettuali agli uomini di potere, consente a Bonaccorso di tenere il pubblico incollato ad una trama che è fatta di parole che spesso si perdono nel vuoto tanto quanto sanno diventare efficaci al momento giusto. Joseph K., interpretato magistralmente dello stesso Bonaccorso, diventa così il collante di una realtà senza senso, in cui tutti sembrano essere vittime e carnefici di un sistema, prima di tutto mentale, che, anche necessariamente, l’Uomo ha dovuto mettere in campo per organizzare la propria sopravvivenza comune. Sta nel ritmo della messinscena la chiave di volta dell’azzeccata regia del regista ragusano. Il frenetico sommarsi di ragioni e nonsense porta alla risultante di una umanità condannata inevitabilmente alla follia elevata a sistema perchè unico modo per sopravvivere ad una incomunicabilità senza soluzione. La cattiveria, il farsi del male l’un l’altro è una paradossale e dolorosa necessità che gli uomini sperimentano quotidianamente sulla propria pelle per tenere in piedi un mondo che altrimenti andrebbe in frantumi. La morte di K. avviene su un lettino da psicanalisi, con il protagonista che assume il volto dello “scarafaggio” Gregor Samsa de “La metamorfosi”. L’ultimo respiro, la sintesi di una vita, è dentro un “Io” che non ci appartiene ma che siamo stati costretti ad indossare da sempre. E’ così che Bonaccorso ha lasciato la sua impronta ad una messinscena coraggiosa e piena di testimonianza e riconoscenza per uno dei massimi interpreti della complessità dell’animo umano.
Tutti straordinari gli altri interpreti della pièce, impegnati a dare corpo e voce ad uno dei pensieri più alti di sempre.