Da Città del Messico – Il 12 dicembre in Messico non sarà più solo il giorno di Nostra Signora di Guadalupe, sarà il giorno in cui lo Stato messicano è stato riconosciuto responsabile di “sparizione forzata” e di pratiche che ledono i diritti umani nel “contrastare” l’insurrezione Zapatista. La sentenza è quella della Corte Interamericana dei Diritti Umani che ha ritenuto il Messico responsabile nella sparizione di Antonio Gonzalez Mendez, militante civile dell’EZLN. La sua famiglia ha caparbiamente voluto verità e giustizia, una verità che ancora manca perché ancora non si sa esattamente cosa sia successo ad Antonio dopo il 18 gennaio 1999.
Ci sono voluti quasi 26 anni, ci sono voluti processi, indagini indipendenti, c’è voluto il coraggio di una donna, delle figlie e del figlio che non si sono mai arrese e arresi davanti alle continue negazioni che governo dopo governo hanno ricevuto. “Questa grave violazione dei diritti umani” scrive il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomè de Las Casas (che ha accompagnato la famiglia in questi anni) in un comunicato stampa a pochi minuti dalla sentenza “si inquadra nel contesto del conflitto armato interno, tuttora irrisolto, in cui lo Stato messicano ha attuato il Piano di Campagna Chiapas 94, una politica di controinsurrezione volta a smantellare l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e la popolazione civile simpatizzante”.
A far “sparire” Antonio è stato il gruppo paramilitare “Paz y Justicia”. Secondo la ricostruzione della Corte IDH: “nel 1997, il gruppo “Paz y Justicia” è stato formalmente costituito come associazione civile con il nome di “Desarrolo, Paz e Justicia ”, con l’obiettivo di ottenere finanziamenti ufficiali. Il 4 luglio 1997 il governo del Chiapas ha concesso all’associazione 4.600.000,00 dollari (quattro milioni e seicentomila pesos messicani). Il comandante della VII Regione Militare ha assistito all’atto protocollare e ha firmato l’accordo come testimone d’onore. La Commissione interamericana ha notato che, a quel punto, l’attività criminale dell’organizzazione era già pubblica. La Commissione nazionale di ricerca ha registrato la testimonianza di un “ex membro di Paz y Justicia” che ha affermato che questo gruppo paramilitare sorvegliava le strade, riscuoteva le tasse, minacciava e uccideva chi non collaborava con loro e che i paramilitari venivano addestrati in campi militari”. La stessa Corte ricorda che “la scomparsa di Antonio González Méndez è avvenuta in un contesto di violenza generalizzata nel nord dello Stato del Chiapas, in cui diversi gruppi paramilitari hanno agito con il sostegno, la tolleranza e l’acquiescenza dello Stato messicano. Tra questi gruppi c’era Paz y Justicia”.
Lo Stato messicano nel 1994 ha creato il Piano Chiapas che, c’è scritto nella sentenza della Corte, “disponeva l’utilizzo della popolazione civile per contribuire alle attività dell’esercito messicano. L’esercito era incaricato della creazione, dell’addestramento, del sostegno, del coordinamento e dell’organizzazione di forze di paramilitari, con l’obiettivo di distruggere o neutralizzare la guerriglia locale, le milizie e i commandos delle forze considerate nemiche: l’EZLN. Il gruppo paramilitare “Paz y Justicia” è stato uno dei gruppi nato sulla base del Plan Chiapas, sebbene sia stato formalmente costituito come associazione civile. I gruppi paramilitari godevano dell’appoggio e delle facilitazioni statali: addestramento militare, soldi, armi, veicoli e uniformi, detenzione degli oppositori. Per questo sono stati riconosciuti come autori di atti di violenza e vessazione diretti principalmente contro persone o comunità aderenti all’EZLN.
La sentenza del più alto organo continentale per la difesa dei diritti umani inchioda lo Stato messicano e può ben essere definita storica perché conferma le azioni antizapatiste – il caso più “famoso” è il massacro di Acteal nel 1997 – e ripropone il dramma dei desaparecidos: ufficialmente 117575, ma che potrebbero essere in realtà anche 3 o 4 volte di più. Il Centro dei Diritti Umani, che ha seguito il caso di Antonio Gonzalez Mendez, chiude il suo comunicato stampa scrivendo che questa sentenza “apre una crepa nel muro di complicità e impunità costruito dai responsabili, attori politici, militari e paramilitari che, governo dopo governo, hanno stretto patti per coprire i loro crimini di Stato. La lotta di Antonio, insieme al coraggio di Zonia, Elma e Magdalena, è una luce e una speranza per tutte le vittime e i sopravvissuti a questa barbarie, ispirando la ricerca della verità e della memoria, sottolineando le azioni di giustizia che portano a un risarcimento integrale e, di conseguenza, a una giustizia completa e piena”.