Dalle mille finestre sull’avenida del Libertador la vista spazia su un verde parco litoraneo e oltre la spettacolare foce oceanica del rio de la plata l’orizzonte delinea la costa dell’Uruguay; ma come in un caleidoscopio basta scendere nelle strade sottostanti dell’agiato quartiere di Palermo perché bruscamente il panorama si capovolga sui senzatetto che passano la notte distesi o rannicchiati lungo i marciapiedi. Sono le viscere esposte della rinnovata Argentina di Javier Milei, economista fino a ieri ignorato e all’improvviso frettolosamente celebrato a Roma come il santo salvatore del grande paese sudamericano dalla nostra Giorgia Meloni. Sebbene l’alba sia trascorsa da un pezzo, uno di quei poveretti non risponde ai miei richiami per avvertirlo che ostacola l’uscita di un’auto dal garage. “Lo sposto io…lui ha raccolto cartoni fino a un’ora fa”, interviene un compagno dall’incavo dell’edificio che gli ha fatto da tettoia durante il sonno. Comprensivo ma spazientito, l’automobilista in attesa gli mette in mano mille pesos (all’incirca un dollaro) e lo sollecita a muoversi perché ha fretta. “La nostra vita non vale niente…”, commenta per tutta risposta l’altro, ma rivolto soprattutto a se stesso.
Scene analoghe (ma per lo più senza mance nel mezzo) sono tutt’altro che inusuali non solo a Buenos Aires, bensì nelle zone benestanti delle maggiori città argentine: sono infatti milioni gli abitanti cacciati sul lastrico o in rifugi di fortuna dalle svalutazioni ufficiali e di fatto, decise dal presidente Milei nell’anno di governo appena compiuto. Senza neppure tentare di creare un solo nuovo posto di lavoro. A fronte di un reddito medio all’incirca il 50 per cento di quello italiano, il costo della vita nei grandi centri urbani è ormai vicino a quello di Milano, più alto di Madrid. Da sempre rilevanti, sottoccupazione e lavoro nero hanno compiuto un altro balzo in avanti. I redditi fissi, salariati e pensionati, vedono dimezzata o quasi la loro capacità d’acquisto. Ormai è la classe media ad apparire profondamente fratturata, con una buona metà priva di solidi risparmi e/o risorse proprietarie ricacciata verso la totale insicurezza economica. Senza più accesso alle assicurazioni sanitarie divenute impagabili e con difficoltà a iscrivere i figli negli istituti di studi superiori e all’università, a cui il governo ha sistematicamente tagliato i fondi, così come ai centri di ricerca.
Smantellate anche dozzine di mense popolari attive da due decenni grazie alla solidarietà spontanea di fabbriche e quartieri. Il governo le riteneva punti di aggregazione dell’opposizione peronista. Che Milei non considera avversari politici, bensì nemici personali. Ne fanno testo la genericità e l’estremismo del suo linguaggio, tanto approssimativo nella sintassi quanto aggressivo nel lessico, replicato anche a Roma: ”Destre unite come una falange romana contro la sinistra criminale, solo la destra può batterla. Difendiamo la causa giusta e nobile dell’Occidente civilizzatore…” Soltanto un immediatismo opportunista e senza principi può tenere insieme lo sfrenato iper-liberismo dell’economista anarco-capitalista Milei e il centralismo statalista cui dice di aspirare Meloni. Nella speranza che il comune cittadino si lasci ipnotizzare dalle fanfare della retorica più logora e sbrindellata (di nuovo “l’Argentina sorella…”, alla prima occasione puntualmente dimenticata; e il comune sangue italiano, nel cui nome viene riconosciuto al neo-presidente argentino il nostro passaporto, che migliaia di italiani d’Argentina attendono invano da anni). E infine: non è stata forse la destra più fascisteggiante a rivendicare in passato, per decenni, la figura del generale Juan Domingo Peron?
In mancanza non già di contraddittorio ma neppure d’un minimo di rispetto per i fatti concreti, Milei proclama davanti alla compiacente platea di Atreju :”… Le mie ricette non sono quelle tradizionali ma funzionano…”. E’ vero, non è stato lui a creare la crisi che attanagliava e continua a soffocare l’Argentina. Malanni storici dovuti a sottosviluppo, indebitamento e stagnazione produttiva l’avvelenavano con rinnovata pericolosità almeno dal 2008. A farla esplodere, tuttavia, sono stati in primo luogo gli impagabili 44mila milioni di dollari ottenuti in prestito dal Fondo Monetario nel 2019 dal conservatore Mauricio Macri, allora capo di stato e oggi suo imprescindibile alleato, che ne ha utilizzati oltre la metà per rifinanziare le banche esposte verso l’estero per la speculazione carry-trade (fondata sul differenziale del tasso d’interesse tra peso argentino e dollaro statunitense). Poi la colpevole inerzia del successivo governo peronista di Alberto Fernandez e Christina Kirchner. Ma a tutt’oggi, l’intervento di macelleria sociale operato da Milei è esclusivamente di carattere finanziario. Il forte freno all’inflazione e al rischio paese ottenuto ha rassicurato i creditori esteri. Non l’economia reale argentina, la cui recessione è ancora insidiata dal default.
Di certo, c’è la massa di argentini emarginata nella più crudele precarietà dal “prodigioso” Milei: l’Indec (l’Istat argentino) ha certificato ufficialmente che oltre il 67 per cento dei 47 milioni di abitanti sono in condizioni di grave disagio o miseria. Gli auspicati investimenti esteri nelle attività produttive non arrivano. I prossimi mesi saranno decisivi. Al netto dei continui scandali e delle imboscate intestine al governo (che in 11 mesi ha cambiato oltre la metà dei ministri; mentre i contrasti tra la vice-presidente Victoria Villaruel e Milei hanno fatto scintille anche durante la sua visita-lampo ad Atreju), quella del capo di stato argentino resta una scommessa. A Wall-Street cosi come a Buenos Aires gli operatori di borsa parlano soprattutto dell’imminente avvio della produzione di Vaca Muerta, non propriamente un giacimento, bensì una “marga bituminosa”, cioè una portentosa sedimentazione di gas e petrolio che i geologi attribuiscono al periodo Giurassico. Promessa già da diversi anni e governi, la straordinaria produzione consentirebbe un incremento dell’export energetico tale da migliorare vistosamente la bilancia commerciale e comunque da ottenere nuovi prestiti.