23 dicembre 1984. Da Napoli è in partenza un treno diretto verso Milano. E’ il Rapido 904. 23 dicembre. Due giorni prima di Natale. Molti i meridionali a bordo. In viaggio per raggiungere i loro parenti al nord per le festività. Incuranti di ciò che riserverà loro il viaggio.
Alle 19.08 il treno ha da circa mezz’ora superato la stazione di Firenze. All’improvviso scoppia una bomba radiocomandata posizionata su una griglia portabagagli. E squarcia il vagone numero 9. Seconda classe.
L’effetto è ancora più devastante perché la deflagrazione avviene nella Grande Galleria degli Appennini, tra le stazioni di Vernio e San Benedetto Val Di Sambro. E’ la stessa zona in cui dieci anni prima era avvenuta la strage dell’Italicus…
Il bilancio è tragico: muoiono 16 persone compresi tre bambini. E un’intera famiglia.
Dalle prime indagini sarà subito chiaro che la matrice della strage è terroristico-mafiosa. La Strage di Natale, così fu ribattezzata, doveva servire a Cosa Nostra per stroncare le indagini e i provvedimenti restrittivi scattati contro i vertici dell’associazione mafiosa dopo le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Ma non è solo mafia. I processi e le sentenze che dal 1985 in poi si sono succeduti hanno rivelato l’intreccio tra organizzazioni criminali (compresa la Banda della Magliana), l’estrema destra, la massoneria, i servizi deviati. Con i consueti depistaggi.
La sentenza di primo grado (febbraio 1989) condanna all’ergastolo per il reato di strage il capomafia Pippo Calò, cassiere di Cosa Nostra insieme ad altri esponenti a lui collegati.
Nel 2011 Totò Riina, capo dei capi della mafia viene accusato di essere il mandante della strage ma nell’aprile del 2015 viene assolto in primo grado. Poi, quando il processo d’appello è appena iniziato, Riina muore.
La Procura di Firenze ha riaperto le indagini per far luce su eventuali nuovi responsabili. Sono stati acquisiti documenti declassificati dai Servizi Segreti e altri materiali giudiziari, con l’obiettivo di individuare ulteriori mandanti ed esecutori.
A quarant’anni di distanza, anche la strage del Rapido 904 resta una ferita aperta nella storia del nostro Paese.