Dall’Europa un nuovo pesante monito all’Italia. A lanciarlo questa volta è il Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio d’Europa nel Rapporto sulla visita ad hoc alle strutture di detenzione amministrativa delle persone migranti, in altre parole i CPR, i Centri di permanenza per il rimpatrio.
Maltrattamenti fisici, uso eccessivo della forza da parte del personale di polizia nei confronti di persone trattenute nei CPR visitati, somministrazione diffusa di psicofarmaci non prescritti, ammanettamento prolungato delle persone fermate durante il loro trasferimento nel CPR. E poi le condizioni materiali dei Centri, con sbarre e schermi metallici alle finestre, armature rinforzate, i cortili di passeggio simili a gabbie, condizioni – scrive il CPT – che ricordano quelle osservate dal Comitato nei reparti a regime speciale ex 41-bis.
La visita che si è svolta ad aprile ha riguardato quattro degli otto CPR attivi sul territorio nazionale: i Centri di Gradisca d’Isonzo (GO), Milano, Palazzo San Gervasio (PZ) e Ponte Galeria (Roma).
Ai maltrattamenti è dedicato un intero paragrafo. Diversi i casi riscontrati, con interventi da parte delle forze di polizia in seguito a eventi critici. Il Rapporto rileva l’assenza di un monitoraggio rigoroso e indipendente di tali interventi da parte della polizia e la mancanza di una registrazione accurata delle lesioni subite dalle persone trattenute o di una valutazione oggettiva della loro origine
La sostanziale assenza di attività ricreative e riabilitative, previste invece dai capitolati di appalto, rende i CPR dei “depositi” di corpi. Il vuoto di attività e il sistema fortemente securitario del regime di vita nei CPR – secondo il Comitato del Consiglio d’Europa – è alla base dell’elevato tasso di eventi critici e violenti registrati nei CPR. Pertanto, alla luce anche del prolungamento del periodo di trattenimento fino a un massimo di 18 mesi, il CPT raccomanda un’offerta più adeguata di attività mirate, soprattutto alla luce.
Critica anche l’assistenza sanitaria, secondo il Comitato e la verifica iniziale dell’idoneità alla vita in un ambiente a custodia detentiva, oltre al già citato abuso di psicofarmaci. Carenti le garanzie giuridiche e in particolare l’accesso all’avvocato e ai servizi di interpreti professionali.
La conclusione del CPT non lascia adito a dubbi: “Il Comitato – si legge nel Rapporto – ritiene che i CPR non siano adatti allo scopo e che il trattamento delle persone in essi detenute debba migliorare significativamente. L’attuazione dei cambiamenti necessari è responsabilità del Ministro dell’Interno e del suo team e, in ultima analisi, della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Considerato l’articolo 3 della Convenzione, il CPT invita le autorità italiane a adottare azioni decise per migliorare l’approccio e la situazione generale nei CPR alla luce delle raccomandazioni del Comitato”.
Infine, un invito rivolto al nostro Paese: “a riflettere sulle lezioni apprese dalla privatizzazione dei servizi di gestione dei CPR e se si tratti effettivamente di un modello virtuoso”.
(Nella foto il Cpr di Ponte Galeria)