E così, con l’ennesimo atto di arroganza, Emmanuel Macron ha deciso di andare allo scontro totale, arrivando ad attaccare il Parlamento, tacciandolo di irresponsabilità e di voler di fatto porre un freno al suo spirito riformatore. Evidentemente, il nostro non sa che la Francia, nonostante lui, è ancora una democrazia semi-presidenziale, nella quale il Parlamento esercita un ruolo di controllo e di censura nei confronti degli atti dell’esecutivo. Si crede Napoleone ad Austerlitz quando ormai, dopo la disfatta patita alle Europee e l’Elba estiva, per restare nella metafora bonapartista, altro non è che un imperatore giunto a Waterloo e prossimo a conoscere la sua Sant’Elena, senza la prospettiva di un Manzoni che ne canti le gesta.
Comunque vada, la sua agonia finirà nei manuali di storia. Sarà ricordato, infatti, come il peggior presidente che si sia visto all’opera dai tempi della Repubblica di Vichy, addirittura peggiore dei fallimentari personaggi di secondo piano che condussero nel baratro la Quarta Repubblica, prima che arrivasse De Gaulle a prendersi cura di un Paese incapace di fare i conti con la fine dell’esperienza coloniale in Algeria. Ora, questo vanto della finanza mondiale, che per sua stessa ammissione sceglie i primi ministri in base alla volontà dei mercati, incurante delle indicazioni degli elettori, questo emblema della post-democrazia dell’Occidente nel momento della sua massima crisi, questo monumento al collasso degli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza che hanno caratterizzato la vicenda francese a partire dalla presa della Bastiglia, questo protagonista, suo malgrado, del disastro e del declino della nostra parte di mondo affoga nell’arroganza, incapace di far fronte a scioperi, proteste e a una rabbia sociale dilagante, dovuta innanzitutto alle sue controriforme anti-sociali.
Mutuando una battuta attribuita a Giulio Andreotti, che pare che a un papa sia arrivato a dire: “Santità, lei non conosce il Vaticano!”, potremmo dire al bonapartista senza corona che non conosce i francesi. Non ha capito, difatti, che un popolo così orgoglioso, così appassionato e così restio ad accettare qualsivoglia forma di sottomissione non tollera e non tollererà mai di essere posposto alla volontà di gente mai eletta da nessuno e intenzionata a rovinare la vita degli ultimi e dei deboli, devastandone il welfare, le prospettive lavorative e pensionistiche e i diritti, ritenuti in Francia sacri. Non ha capito, ancora, che, a differenza degli italiani, i francesi una Rivoluzione l’hanno fatta, pertanto non si rassegnano alla sparizione di tutto ciò in cui credono e per cui si sono battuti per secoli, in nome di un modello sociale, economico e di sviluppo volto a far arricchire a dismisura l’uno per cento della popolazione a scapito del restante novantanove. E non ha capito, soprattutto, e questo è l’aspetto che riguarda da vicino anche noi, che se crolla la Francia, crolla la civiltà e, con essa, l’Occidente.
Basti pensare a ciò che sta accadendo in Germania, negli Stati Uniti ma pure alle nostre latitudini, dove sembra essere esplosa l’ennesima voglia di larghe intese, senza tener presenti le possibili conseguenze. Diciamo che qui la destra-destra la stiamo già vedendo in azione; diciamo anche, tuttavia, che Meloni può ancora essere inquadrata in un contesto politico, ciò che potrebbe venire dopo di lei, invece, entrerebbe a pieno titolo nel quadro dello sfascio complessivo cui stiamo assistendo fra coloro che un tempo si ritenevano i vincitori invincibili della globalizzazione. Non capirlo, non rendersi conto che figure come Conte e Mélenchon costituiscono gli ultimi argini rimasti allo sfacelo, continuare a picconare un edificio già pericolante e ricorrere a formule politiciste, al di qua e al di là delle Alpi, rischia di consegnarci nelle mani di un nuovo fascismo, che non avrà il volto feroce dell’originale ma non produrrà meno disastri. Per dirla con Gramsci, siamo sospesi fra il non più e il non ancora, fra un mondo che muore e un nuovo mondo che non riesce a nascere, e in tanta malora spuntano i mostri. Mostri che possono assumere le sembianze della tecnocrazia o quelle di una destra di origini reazionarie che, però, con la tecnocrazia va a braccetto. Mostri che ci stanno portando, ad ampie falcate, verso una deriva autoritaria. Mostri che rischiano di divorare tutti i progressi che abbiamo ottenuto in ottant’anni di pace, ora che la pace è diventata un concetto astratto e disconosciuto dai più, a cominciare dagli oligarchi come Macron, incapaci di gestire il potere, il tramonto e persino il ridicolo, ora che tutto è finito e gli resta solo la protervia, prima del diluvio.
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