Mentre il mondo è spesso catturato dall’eco delle conflitti che occupano le prime pagine dei giornali, altre guerre, altre sofferenze, si consumano in silenzio, relegando milioni di vite all’oblio.
La recente escalation della violenza in Sudan (nella foto quel che resta di Khartoum, la capitale, colpita da un massiccio bombardamento) con migliaia di persone che fuggono ogni giorno verso il Sud Sudan, è solo l’ultimo di una lunga serie di campanelli d’allarme che ci ricordano l’urgenza di affrontare le crisi dimenticate.
Di fronte a questa guerra nel cuore dell’Africa, che l’imvisto speciale degli Stati Uniti Tom Perriello stima abbia causato dal 15 aprile 2023 la morte di oltre 150.000 persone, ci troviamo a riflettere su un fenomeno inquietante: la classificazione indegna delle guerre: “di Serie A” e “di Serie B”.
In un mondo globalizzato, dove ogni tragedia potrebbe e dovrebbe risuonare con la stessa forza, invece assistiamo a un’inevitabile gerarchia della sofferenza. Le crisi in Sudan, ma anche quelle in Congo, Myanmar e Haiti, vengono sistematicamente oscurate dalle narrazioni centrali dei mass media. Le immagini strazianti e le storie di vita spezzata, che dovrebbero suscitare indignazione e solidarietà globale, vengono spesso dimenticate, banalizzate o ridotte a mere statistiche da archivio.
A Renk, al confine tra Sudan e Sud Sudan, 5.000 persone ogni giorno cercano rifugio in insediamenti informali, sfuggendo a una guerra che ha travolto le loro vite.
Questa realtà drammatica richiede la nostra attenzione immediata. Ma mentre questi rifugiati si affollano in condizioni disumane, il mondo resta paralizzato da un silenzio assordante. Non si tratta solo di una questione umanitaria, ma di una questione etica che ci chiama a rispondere.
Dobbiamo chiederci perché alcune guerre suscitino un immediato clamore e altre vengano ignorate. Perché l’attenzione globale è concentrata su alcuni conflitti piuttosto che su altri, quando la sofferenza umana è universale?
Le guerre in Congo sono durate decenni, mietendo milioni di vittime, eppure raramente occupano le prime pagine. In Myanmar, la persecuzione dei Rohingya è diventata un capitolo di triste storia ignorato. Allo stesso modo, Haiti continua a lottare tra instabilità politica e crisi umanitarie, ma è sempre più facilmente dimenticata.
Questi conflitti non sono meno gravi, né la sofferenza dei loro protagonisti è meno reale; è la nostra attenzione che è fallace e selettiva.
È tempo di riconoscere che tutte le guerre meritano pari dignità. Ogni vita spezzata, ogni famiglia distrutta, ogni sogno infranto in queste guerre dimenticate è un colpo al cuore della nostra umanità. Non possiamo rimanere in silenzio. È nostra responsabilità, come cittadini del mondo, alzare la voce e chiedere al nostro governo e ai media di amplificare queste storie.
Chiediamo un cambio di narrazione, in cui ogni guerra venga riconosciuta per quello che è: una crisi umanitaria che chiede solidarietà e attenzione. Solo così possiamo sperare di scrivere una nuova storia, non più di guerre dimenticate, ma di un’umanità unita nella sua lotta per la pace e la dignità. La storia non deve essere scritta solo da chi ha il potere di farlo, ma anche da chi si batte, giorno dopo giorno, per la sopravvivenza e la speranza. Non lasciamo che il silenzio continui a dominare.