Una decina di anni fa è uscito in Italia un libro di assoluto interesse “La Maschera democratica dell’Oligarchia”. Riassumeva i contenuti di un appassionante dialogo fra lo storico Luciano Canfora e il giurista Gustavo Zagrebelsky. Come si intuisce dal titolo il tema era più o meno questo: formalmente viviamo in un regime democratico ma esiste, dietro le quinte, un altro potere ben più pervasivo, quello della finanza e del denaro che si nasconde ma in realtà determina le scelte dei politici svuotando di senso la democrazia, la libertà di scelta dei cittadini.
All’epoca avevamo già avuto in Italia al governo per lunghi periodi Silvio Berlusconi, uno degli uomini più ricchi del paese con interessi ramificati in molti settori. Lui di certo non nascondeva la sua “potenza” economico imprenditoriale, ma era considerato un qualcosa di unico, una eccezione anche da molti dei suoi presunti avversari politici.
Il termine oligarca lo abbiamo riservato allora praticamente unicamente a quei personaggi che, dopo il crollo del comunismo nell’est europeo, hanno accumulato enormi ricchezze e potere con le privatizzazioni selvagge. Su Wikipedia c’è addirittura una voce dedicata agli oligarchi russi insieme a centinaia di articoli e pagine rintracciabili su Google.
Insomma il “governo dei pochi” sarebbe allora uno specifico post sovietico, una cosa che non riguarda l’Occidente dove la finanza e i “tecnocrati” (altra fondamentale variante del discorso pure in chiave oggi “bellicista”) preferirebbero delegare a “prestanome” l’esercizio formale del governo: non avendo loro alcuna voglia di perdere tempo presentandosi alle elezioni.
Ma nel 2024 vale ancora questa impostazione? Cosa è accaduto nel “paese guida” del mondo occidentale con le elezioni statunitensi di novembre?
Tutti sanno che ha vinto Donald Trump, uno che ha un patrimonio personale stimato in circa 6 miliardi, oltre a una coda di procedimenti giudiziari destinati ora a finire nel nulla. Questo perché tutti dovrebbero essere uguali davanti alla legge, ma nella realtà c’è sempre qualcuno “più uguale degli altri”. Per Trump è un ritorno alla Casa Bianca, dunque qualcosa di già visto. Ciò che pochi sanno è che della sua amministrazione faranno a vario titolo parte ben cinque miliardari. Quello col ruolo più pesante si chiama Scott Bessent, gestirà il tesoro, i conti degli Stati Uniti. Ma il personaggio di gran lunga più importante è un altro, quell’Elon Musk i cui interessi arrivano ovunque: dallo spazio, alla robotica, industria automobilistica, biotecnologie. Il suo patrimonio non è facile da definire, si parla di oltre 400 miliardi di dollari, difficili da stimare con precisione perché costituiti principalmente di azioni. Musk comunque è uno che non si accontenta mai: qualche settimana fa una giudice del Delaware ha bloccato lo “stipendio” da 56 miliardi che si era auto assegnato per il ruolo esercitato in Tesla. Il Tribunale ha ritenuto il “compenso” eccessivo e irragionevole, lui ha risposto parlando di sentenza folle, ha definito la giudice “corrotta e attivista politica”. L’uomo (cui Trump ha affidato il compito di tagliare la spesa federale, cioè licenziare i dipendenti pubblici) è fatto così, ama farsi giustizia da solo, non accetta che ci siano leggi da rispettare. E questa “regola” lui la applica all’intero pianeta: non gli sta bene che al mondo ci siano governi o magistrati che vogliano decidere cose che lui non condivide. E’ arrivato a sostenere ripetutamente i neo nazisti tedeschi temuti persino da parte dell’estrema destra europea. Oltre dove può andare?
Quanto durerà il “sodalizio” fra Trump e Musk? In un recente comizio a Phoenix Donald ha detto (ridendo) che Elon non diventerà mai Presidente essendo nato in Sudafrica ( la Costituzione Usa lo vieta), ha anche chiarito che a comandare è lui. La cosa ha alimentato le speranze degli oppositori sulla possibilità che l’intesa si rompa, ma gossip a parte ( il problema dei due galli nel pollaio è reale) in concreto ai due conviene continuare a collaborare. Hanno troppi interessi in gioco e una “visione del mondo” sostanzialmente comune.
Torniamo allora alla metafora iniziale: dov’è finita la “maschera democratica” dietro la quale si celavano gli oligarchi? Siamo a un momento di svolta: adesso i miliardari scendono in campo in prima persona, sono loro pure in Occidente a gestire la cosa pubblica.
La novità è per molti aspetti “esplosiva” per gli equilibri del sistema, ma c’è un altro aspetto che va colto. Donald Trump ha vinto le elezioni nei sette famosi stati in bilico grazie al voto dei ceti popolari, soprattutto bianchi ma non solo. Per la prima volta dal 1960 i repubblicani hanno avuto il sostegno degli elettori che guadagnano meno di 50mila dollari l’anno. Gente che sapeva benissimo che andava a supportare un governo dominato dai super ricchi. E perché l’hanno fatto? Qui non abbiamo lo spazio per sviluppare il discorso ma un paio di cose possiamo dirle. La prima è che era profonda la insoddisfazione verso l’amministrazione uscente. Per il ceto medio basso (i veri indigenti si sono invece astenuti) stipendi e salari non bastano a affrontare il costo della vita (accade pure in Italia). La rabbia, la sensazione di abbandono sono enormi e chi promette cambiamenti, chi parla di dazi contro le merci cinesi, chi addita a bersaglio gli immigrati a gioco facile nel mietere consensi. C’è poi un secondo fattore che è quello che qui probabilmente ci interessa di più: di cosa si è parlato nel corso della campagna elettorale? C’è stata una selezione di temi ( cornici narrative) quasi tutta disegnata sull’agenda conservatrice: il pericolo immigrazione, l’obiettivo di tornare a “fare grande di nuovo l’America”. Nell’unico confronto televisivo Harris Trump non una parola è stata spesa sulla povertà. Il principale punto dissonante della campagna ha riguardato il diritto all’aborto, le donne criminalizzate negli Stati repubblicani. Per il resto, la questione del possesso delle armi, le stragi che insanguinano il paese, la pena di morte, la condizione carceraria, gli abusi commessi dalle forze dell’ordine sono scivolati in un cono d’ombra. Non erano oggetto di dibattito. Ma a sparire sono state pure la crisi climatica, il riscaldamento del pianeta, le politiche ambientali. Non che le posizioni fossero le stesse, Trump è per il ritorno a pieno regime del fossile, i democratici no. Il problema è che se n’è parlato pochissimo, talmente poco che è scomparso dalle preoccupazioni degli elettori. Quando nella notte dello scrutinio le tv americane hanno fatto i consueti exit poll sulle questioni tematiche che interessavano gli elettori, l’ambiente e il clima semplicemente non c’erano. E questo in uno dei paesi che producono più emissioni di anidride carbonica sul pianeta.
Che cosa possiamo attenderci per il futuro? La visione di Trump e Musk è quella di una società dove gli affari e la ricchezza decidono tutto. Si sono dissolte pure le utopie (ormai da tempo giudicate autentiche fandonie dagli osservatori più avvertiti) che tanto spazio hanno avuto persino da noi di una industria tecnologica progressista. Si impone il “capitalismo della sorveglianza” con una variante protezionistica. Gli stessi che fino a pochi anni fa facevano l’elogio della globalizzazione ora celebrano dazi e tariffe e competizione dura coi produttori stranieri. Tutto il potere alle grandi imprese, potremmo concludere, con la fine di ogni progetto di giustizia sociale e ambientale. In un mondo già devastato dalle guerre questa dimensione sovranista/darwinista ( detto con rispetto per l’incolpevole Darwin) cosa produrrà? E’ questa la domanda che ci troviamo di fronte in particolare noi cittadini della Unione Europea mai così fragile e disorientata come in questi ultimi anni. Abbiamo le istituzioni comunitarie ormai indistinguibili dalla Nato, preoccupate soltanto di incrementare le spese militari, incapaci di alcuna iniziativa diplomatica per arginare la guerra. I “media dominanti” ci vendono l’immagine di un Occidente che deve difendersi dai suoi nemici ma chi è chiamato a guidare questa alleanza? Gli Stati Uniti isolazionisti di Trump? Elon Musk con la sua rete di satelliti che circonda il pianeta? C’è una sola cosa peggiore di una oligarchia finanziaria tecnocratica ed è un potere oligarchico che ti controlla dall’esterno.
Detto questo la storia insegna che nulla è definitivo e le contraddizioni riemergono sempre. Per il 2025 ci affidiamo a questa certezza guardando il mare in tempesta.