BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

La scomparsa di Olivia Hussey. Creature umide di rugiada

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Non mi è chiaro se sono anch’io a rischio di denuncia, ma con una ragazzina di quindici anni come Olivia Hussey che interpreta Giulietta nel film di Zeffirelli tratto dalla tragedia di Shakespeare, non avrei esitazione ad innamorarmi di nuovo, alla mia veneranda età. Me ne innamorerei non diversamente da Romeo, nel film era interpretato da Leonard Whiting che aveva un solo anno più di lei, ed era altrettanto delizioso. Zeffirelli li mette a letto insieme e li fa risvegliare con il canto delle allodole e il cinguettio dell’usignolo, i corpi gentili e indolenti impigriti dalla notte d’amore. Fra i due giovani amanti il regista accarezza più volentieri lui con la cinepresa, le sue natiche nude e sode in un meraviglioso fisico di adolescente. Quando si alza in piedi contro la finestra inondata di sole estivo e si stira stendendo le braccia, assume la posa, inconfondibile, del David di Michelangelo visto di spalle. L’icona di tutti coloro che amano gli uomini, maschi o femmine indistintamente. Mi raccontava Danilo Donati, costumista sublime (che per il film vinse il Premio Oscar) di come arrivando a Firenze, studente d’Accademia, fu portato per prima cosa dal suo maestro a Piazzale Michelangelo a ‘scoprire’ il David: la rivelazione che ne trasse, la commozione incancellabile. E l’identità raggiunta.

Intriso di quella medesima vibrazione appare Romeo nel dorato controluce, mentre Giulietta fra le lenzuola ancora indugia ad aprire le palpebre, avvolta nella voluttà del sonno; e quando si riscuote perché le labbra di lui si posano sulle sue, le scorgiamo per un istante il seno, che aveva turgido e voluminoso per i suoi verdi anni, irresistibile come la coppa del Santo Graal che contiene il liquore di vita eterna.

I candidi seni

Zeffirelli per girare quella sequenza di nudo aveva dovuto chiedere un permesso speciale al ministero, e all’uscita il film era stato ugualmente e inesorabilmente sottoposto a divieto. Tanto che alla stessa Olivia Hussey, minorenne, non fu permesso di entrare in sala a causa, le spiegarono, di una scena in cui venivano mostrati i seni nudi della protagonista. “Ma sono i miei – obiettò lei candidamente – li vedo ogni mattina allo specchio!”

Sul piano dell’emozione estetica invidiamo l’incantevole Romeo che stringe tra le braccia quel miracolo vivente di fanciulla che sta dischiudendo i suoi petali. Ma le avete guardato bene gli occhi, le labbra, il sorriso, l’incarnato, i denti, il broncio?

Per Olivia Hussey non mi appello a un generico lolitismo, ma proprio al suo splendore, alla sua grazia irresistibile. La bellezza conquista, la bellezza corrompe, la bellezza esalta. Si parla dell’immagine della Gradiva a cui fa riferimento Sigmund Freud, il bassorilievo in cui la fanciulla di Pompei accenna il passo arcuando il piede nudo e in quel movimento emana per intero la sua attrazione virginale. “Vera incessu patuit dea”, ripeteva sovente Mario Soldati rubando il verso a Virgilio: “da come mi venne incontro si rivelò per una dea.”

A quel tempo – ma siamo sicuri che sia trascorso? – c’era una passione smodata per le ninfette. Si leggeva avidamente Nabokov nel cui romanzo, benché eccelso, è fin troppo forte il gusto estremo della crisalide (non dimentichiamo che lo scrittore russo era un provetto entomologo, cacciatore e collezionista di farfalle). Ma ci si rifugiava volentieri anche nel romanzo L’attore di Soldati, oggi dimenticato, in cui venivano confessati i desideri più astrusi e roventi dello scrittore. O altre letture non certo inferiori per valore, come La noia di Moravia, o Un amore di Dino Buzzati. Storie strazianti, interpretate sullo schermo da attricette acerbe e travolgenti.

D’amore e rabbia

Ma tutto ciò è proprio quanto andrebbe ora ignorato, se l’argomento è l’amore puro, la storia di Romeo e Giulietta, la più mirabile mai scritta da penna umana, e che soltanto il sommo William Shakespeare poteva aspirare ad ordire in una tragedia. Una vicenda travolgente e disperata, ma anche esaltante, perché a viverla sono due creature ancora umide di rugiada che provano per la prima volta la tortura dell’amore, quando l’essere intero ne viene sconvolto e annientato, e scopri che un’altra persona può contare più di te stesso. Un sentimento che ti espropria, che ti esclude da te. E per il quale sei disposto perfino a morire.

Zeffirelli, nel suo film forse più bello, è riuscito a rendere il dramma con uno sfarzo e una verità che ancora oggi turba profondamente chi vi assiste. Molto per merito di un cast di impareggiabili attori anglosassoni diretti magistralmente, di cui alcuni sarebbero presto divenuti divi internazionali.

Il film uscì esattamente nel 1968, quindi più di mezzo secolo fa, e se Romeo e Giulietta ancora oggi ci incanta, alla sua apparizione fu fatto a pezzi dalla critica politicamente ‘impegnata’, dal cinismo in cattedra, da un certo arrogante atteggiamento di superiorità morale che lo liquidò per un polpettone sentimentale, melenso ed estetizzante.

Nel gran tambureggiare della contestazione, Romeo e Giulietta era planato misterioso ed immutabile da una galassia dimenticata, con il bagliore dell’amore nascente, l’amore al suo manifestarsi, l’amore insanabile e contrastato, l’amore che ‘non lascia vivere’. E sullo schermo gli occhi, il viso, l’innocenza incandescente di Olivia Hussey che racchiude tutt’intero nella sua figura ancora infantile il sogno infallibile della vita. O di ciò che dovrebbe essere.

I colori degli abiti, le danze, i duelli, la canzone indimenticabile “Ai giochi addio”, su una partitura di musica sacra rivisitata (solo un genio come Nino Rota poteva compiere un simile prodigio), e lo scorrimento del sangue e l’inganno troppo crudele del fato, conducono a una commozione irrefrenabile. A un bisogno d’amore e di bellezza che non si riesce a soffocare, né ad arginare.

Olivia Hussey, ritorna!

 


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