Le reazioni di rigetto (esplicito e implicito) al mandato d’arresto contro Benjamin Netanyahu evidenziano le contraddizioni e l’ipocrisia dell’Occidente. Per i Governi degli Stati Uniti e dell’Europa, quel che vale per Putin non vale per Netanyahu. Eppure i princìpi e le regole del diritto internazionale dei diritti umani hanno senso solo se universali, altrimenti è razzismo.
Il 21 novembre, quando la Pre-Trial Chamber della Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto contro Benjamin Netanyahu e il suo ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, la notizia, anche se attesa da tempo, è esplosa come una bomba nelle Cancellerie dei paesi occidentali, compreso il nostro, suscitando scandalo, rabbia, indignazione, smarrimento. Ciò perché questa notizia rappresenta una contraddizione insanabile con la narrazione di un gruppo di nazioni democratiche, strette intorno al Paese guida dell’Occidente, impegnate, anche su piano militare, nella lotta per un “mondo fondato sulle regole”. Il mantra del “mondo fondato sulle regole” è stato il vessillo alzato dalla NATO e dall’Unione Europea, per giustificare la guerra per procura condotta contro la Russia, accusata di aver brutalmente calpestato le regole della Comunità internazionale, declinate a misura degli interessi occidentali.
In realtà, i contenuti di queste regole, che l’Occidente vuole imporre con la forza delle armi, utilizzando – per ora – il sangue degli ucraini, non sono stati mai chiariti. Le regole variano a seconda dei nostri interessi e dei soggetti a cui sono rivolte. È evidente che le regole che valgono per la Russia (paese nemico) non valgono per Israele, (paese amico), inserito di diritto nel novero delle “democrazie”, anche se è uno Stato teocratico. Il diritto internazionale è stato utilizzato come un negozio di abbigliamento giuridico per rivestire di giustificazioni ideali la scelta di alimentare il conflitto fra l’Ucraina e la Russia, invece di ricercare una soluzione pacifica fondata sull’equilibrio degli interessi.
Così contro la Russia si sono levati moti di sdegno armati per la violazione delle regole. La Russia è stata accusata di violazione di tutto lo spettro del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto bellico, di una messe di crimini che sono stati anche contati. Una risoluzione del Parlamento Europeo del 23 novembre 2022, descrive le atrocità commesse dalle forze armate russe, come «esecuzioni sommarie, torture, stupri, detenzioni di massa dei civili, adozioni forzate di minori ucraini e deportazioni forzate – e precisa che – i crimini di guerra documentati in Ucraina sono quasi 40.000». Alla luce di questo J’accuse, la Risoluzione stabilisce che: «la Russia è uno Stato sostenitore del terrorismo, è uno Stato che fa uso di mezzi terroristici». Quindi da più parti, anche dai leader di quegli Stati che, non avendo mai aderito al Trattato di Roma, istitutivo dello Statuto della Corte penale internazionale, avevano cercato in tutti i modi di boicottarne l’attività, sono stati lanciati moniti ed invocazioni per l’intervento della giustizia internazionale a tutela dei principi di civiltà del diritto internazionale così brutalmente calpestati dalle azioni belliche delle forze armate della Russia. Quando il 17 marzo del 2023 la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto per Putin per il crimine di trasferimento di bambini, si è levato un coro di apprezzamenti, compreso il Parlamento europeo, che nella Risoluzione del 29 febbraio 2024, ha rafforzato le accuse alla Russia di crimini di guerra, denunciando l’uccisione di oltre 520 minori dallo scoppio del conflitto.
Di fronte ai massacri compiuti da Israele a Gaza, in Cisgiordania, in Libano e in Siria, non abbiamo assistito allo stesso zelo di denuncia e alla stessa indignazione. Anzi i rapporti della Relatrice speciale delle Nazioni Unite, Francesca Albanese, e delle altre Agenzie dell’ONU che documentano una realtà drammatica nella quale aleggia il più orrendo dei crimini internazionali, il genocidio, non hanno suscitato né reazioni, né emozioni nei palazzi della politica e nelle Cancellerie degli Stati occidentali. Il procedimento promosso dal Sudafrica contro Israele per genocidio dinanzi alla Corte Internazionale di giustizia è stato valutato con fastidio e ostilità. La Corte Internazionale di Giustizia ha ritenuto plausibile il genocidio ed ha emesso delle misure provvisorie a carico di Israele (il 26 gennaio, il 28 marzo, il 5 aprile e il 24 giugno) volte a prevenire e a impedire il genocidio. Le ordinanze della CIG sono immediatamente esecutive e vincolano tutti gli Stati a adoperarsi per la loro implementazione. Israele non solo non ha rispettato le misure imposte dalla Corte, ma ha incrementato le condotte più odiose, attraverso bombardamenti indiscriminati sulle scuole dell’UNRWA dove trovano rifugio i profughi, la restrizione della consegna dei beni essenziali per la sopravvivenza di una popolazione assediata, gli assalti agli ospedali e al personale medico. Di fronte a questa aperta ribellione alle ordinanze della CIG, tutti i cantori dell’inviolabilità del diritto internazionale e dei diritti umani, sono rimasti muti.
L’Unione Europea ha varato 14 pacchetti di sanzioni contro la Russia, ha istigato gli Stati membri a fornire all’Ucraina gli armamenti più performanti, ma non ha battuto ciglio di fronte al massacro di 16.500 minori a Gaza; per lunghi mesi non ha avuto neanche il coraggio di chiedere il cessate il fuoco, né di applicare la minima sanzione al governo Netanyahu, neppure l’embargo della fornitura di armi; anzi si è ben guardata dal sospendere l’Accordo di Associazione UE-Israele. Contestualmente i più volenterosi si sono sbracciati per ostacolare l’indipendente esercizio della giurisdizione della CPI con pressioni di ogni tipo, di cui ha dato atto un inusitato comunicato del Procuratore Generale Karim Khan che, il 20 maggio, annunciando la richiesta di mandati di cattura per Netanyahu e Gallant, assieme a tre dirigenti di Hamas, ha dichiarato: «Tutti i tentativi di ostacolare, intimidire o influenzare impropriamente i funzionari di questa Corte devono cessare immediatamente. Il mio Ufficio non esiterà ad agire ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto di Roma se tale condotta dovesse continuare».
Messo alle strette il Procuratore Khan si è reso conto che il doppio standard avrebbe finito inevitabilmente per travolgere il diritto internazionale e la funzione degli organi di giustizia e lo ha denunciato esplicitamente: «Vogliamo essere chiari oggi su una questione fondamentale: se non dimostriamo la nostra volontà di applicare il diritto (internazionale) in modo equo, se viene visto come applicato selettivamente, creeremo le condizioni per il suo collasso. […] Ora, più che mai, dobbiamo dimostrare collettivamente che il diritto internazionale umanitario, la base fondamentale per la condotta umana durante i conflitti, si applica a tutti gli individui e si applica in modo equo in tutte le situazioni affrontate dal mio Ufficio e dalla Corte. È così che dimostreremo, concretamente, che le vite di tutti gli esseri umani hanno lo stesso valore».
In realtà i princìpi e le regole del diritto internazionale dei diritti umani hanno senso solo se universali, altrimenti è razzismo. Praticare un doppio standard dei diritti equivale alla loro negazione. A quel punto il richiamo alle “regole” è un mero travestimento della forza brutale. Attraverso l’intervento delle sue Corti di Giustizia, il diritto internazionale dei diritti umani ha emesso un lampo che ha squarciato le tenebre di un sistema internazionale che non riconosce altra legge che non sia quella della forza, altro diritto che non sia basato su una politica di potenza. «Quante divisioni ha il Papa?», si chiedeva ironicamente Stalin. Le Corti internazionali non hanno divisioni, né dispongono di una polizia giudiziaria, però hanno l’autorità di ius-dicere, cioè di certificare l’esistenza del diritto internazionale e delle sue violazioni. Con il mandato d’arresto per Netanyahu, la Corte penale internazionale ha fornito un’arma all’opinione pubblica per contrastare l’uso selvaggio del potere ed il ricorso all’esercizio sregolato della forza. Per quanto ci riguarda, è compito delle forze vive della società civile e della politica, utilizzare questa chiave per chiedere conto al governo italiano della sua inerzia e del suo silenzio complice di fronte ai crimini di Israele.