(Parigi). Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha condannato duramente l’uccisione di quattro giornalisti palestinesi a Gaza avvenuta la scorsa settimana, puntando il dito contro Israele per gli attacchi mirati contro i media che cercano invano di coprire quella che è diventata una guerra contro l’informazione oltre che una guerra senza pietà contro il popolo palestinese. L’organizzazione ha chiesto un intervento della comunità internazionale per fermare quella che definisce una “sistematica impunità”.
Ahmed Al-Louh, 39 anni, collaboratore di Al Jazeera e di altre testate internazionali, è stato colpito il 15 dicembre in un attacco aereo sul campo profughi di Nuseirat, nella città di Gaza. Al momento dell’attacco, il giornalista indossava un giubbotto e un casco contrassegnati con la scritta “Press”. Al Jazeera ha definito l’attacco intenzionale, mentre l’esercito israeliano, attraverso il portavoce Avichay Adraee, lo ha accusato di essere un militante della Jihad Islamica, senza però fornire prove.
Mohammed Balousha, 38 anni, reporter per Al Mashhad Media, è stato ucciso il 14 dicembre da un attacco di droni mentre tornava da una visita medica a Gaza City. L’emittente con sede a Dubai ha definito l’attacco “premeditato”.
Mohammed Al Qrinawi, direttore dell’agenzia di stampa locale Snd, è morto con la moglie e i tre figli in un raid sul campo profughi di Al Bureij, sempre il 14 dicembre.
Iman Al Shanti, giornalista di 36 anni, conduttrice di Al Aqsa Radio e collaboratrice della piattaforma AJ+, è stata uccisa con la sua famiglia l’11 dicembre in un bombardamento nel quartiere di Sheikh Radwan, a Gaza City.
Gaza, crimini di guerra e libertà di stampa sotto attacco
Secondo quanto riportato dalle autorità sanitarie locali, il bilancio delle vittime palestinesi nella Striscia di Gaza supera le 45.000 unità dall’inizio delle operazioni militari israeliane. L’offensiva ha lasciato dietro di sé un’enclave devastata, ridotta in macerie, mentre il blocco imposto da Israele ha innescato una crisi umanitaria senza precedenti, con una fame diffusa che minaccia l’intera popolazione. L’ONU e altre organizzazioni per i diritti umani non hanno esitato a definire l’operato di Israele come genocidio. Israele è accusato di condurre una campagna di violenza sistematica, violando leggi internazionali e norme etiche fondamentali.
A peggiorare il quadro, l’accesso a Gaza è precluso ai giornalisti stranieri, lasciando ai cronisti palestinesi il compito di documentare le atrocità. Un ruolo che li ha resi bersagli diretti: secondo il Gaza Government Media Office, 196 operatori dei media palestinesi sono stati uccisi dall’inizio del conflitto lo scorso anno. Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) fornisce una stima leggermente inferiore, registrando 141 vittime.
Domenica, l’emittente qatariota Al Jazeera ha denunciato l’ennesima perdita tra le sue fila. L’uccisione del giornalista Mohammad al-Louh è stata definita un esempio di “sistematica eliminazione di giornalisti a sangue freddo” da parte di Israele. La morte di al-Louh arriva esattamente un anno dopo quella di Samer Abudaqa, altro cameraman di Al Jazeera, anch’egli vittima di un attacco israeliano. La redazione di Al Jazeera ha inoltre ricordato altre perdite subite nel corso del conflitto: il corrispondente Ismail al-Ghoul e il cameraman Rami al-Rifi sono stati uccisi all’inizio di quest’anno in quello che è stata definita una vera e propria esecuzione.
In un contesto di totale impunità, cresce l’appello della comunità internazionale affinché si pongano fine alle violenze e si garantisca giustizia alle vittime.Il CPJ ha chiesto all’esercito israeliano spiegazioni sugli attacchi, in particolare se fosse a conoscenza della presenza di giornalisti nelle aree colpite e se questi fossero stati presi di mira. La risposta dell’IDF è stata vaga: le autorità militari hanno affermato di aver bisogno di tempo per indagare, senza fornire dettagli sui tempi.
“L’uccisione di giornalisti non è solo una tragedia personale, ma un attacco alla libertà di stampa”, ha sottolineato Ginsberg. “La comunità internazionale non può più ignorare queste violazioni: è ora di porre fine all’impunità”. Il CPJ chiede ora un intervento deciso per garantire la protezione dei giornalisti nelle zone di conflitto, in un momento in cui il loro lavoro è più necessario che mai per raccontare le atrocità sul campo.
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