BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Evin e altri inferni

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Basta leggere una qualunque testimonianza di chi ha trascorso qualche tempo in un luogo come Evin per rendersene conto. Se poniamo a confronto Evin, Bolzaneto, Abu Ghraib e gli inferni in terra che caratterizzarono le dittature sudamericane negli anni Settanta, ci rendiamo conto di quanto avesse ragione Enzo Biagi quando sosteneva che tutte le persone piangono nella stessa maniera.
Il principio è quello stabilito ad Auschwitz, magistralmente descritto in un memor da Alberto Sed (il libro è stato scritto da Roberto Riccardi): “Sono stato un numero”. Se vogliamo, già Dumas ne “Il Conte di Montecristo”, descrivendo la prigione di If, ci ha insegnato che per annientare un essere umano basta ridurlo a un numero, costringerlo a vivere nel buio, bendarlo, obbligarlo a tenere la faccia rivolta contro il muro, imporgli posizioni innaturali e scomode e insultarlo con ferocia selvaggia. Il resto vien da sé. Torture fisiche, stupri, percosse: abbiamo ascoltato con commozione i racconti di Iole Mancini a via Tasso, dunque non ci sorprende che altri nazismi si stiano affermando nel mondo. Ed è bene tenere alta l’attenzione su questo volto dell’orrore, affinché nessuno possa dire che non sapeva, che non capiva, che non c’era. Cecilia Sala ci riguarda. E non solo perché si tratta di una collega, di una donna giovane, bella e preparata, ma perché ci riguardano la sua storia, la sua vita, il suo dolore, come ci riguardavano un tempo i desaparecidos nel Cile di Pinochet e nell’Argentina di Videla, le ragazze e i ragazzi di Bolzaneto, i prigionieri iracheni ad Abu Ghraib, i migranti in fuga dalla miseria e dalla guerra reclusi senza motivo nei lager libici. Tutto l’abisso dell’umanità ci riguarda, fa parte di noi, del nostro lavoro, delle nostre denunce. E prendere atto della somiglianza di racconti, condannare l’abiezione a ogni latitudine e narrare la storia, oltre che le storie, al fine di fornire un contesto alla commedia umana ovunque essa si svolga è l’unico modo per sensibilizzare l’opinione pubblica. Tutelare Cecilia oggi significa parlarne. Rilanciare i suoi podcast, farne conoscere la biografia, spiegare il suo lavoro e la sua concezione della vita e della professione, anche criticarla se necessario, ma senza mai sminuirla e, soprattutto, senza irriderla, come stanno facendo invece i soliti leoni da tastiera che straparlano di questioni che non conoscono, stigmatizzando o accusando di presunte complicità con non si sa quale regime chi, come noi, ha sempre condannato ogni attacco alla libertà d’espressione, ovunque esso sia avvenuto.
Ma attenzione agli inferni, ribadisco. Le modalità sono simili, le conseguenze psicologiche anche. La gioventù cilena di Sepúlveda, quella delle rose di Atacama, strappata ai propri vent’anni perché rivendicava un’idea di socialismo dal volto umano, non è diversa da quella iraniana di oggi, dalle ragazze che si tolgono il velo o dalla nostra Cecilia che mette a rischio la sua stessa vita per raccontarne il coraggio e la passione civile. Evin come Bolzaneto come Abu Ghraib come Villa Grimaldi: segnamoci questi nomi, fino a risalire a via Tasso, ad Auschwitz e a tutti gli altri luoghi di sterminio nei quali degli esseri umani sono stati rinchiusi con il preciso scopo di spegnerne la voce.
Abbiamo affrontato qualche giorno fa le vicende di Damasco, la terribile prigione di Sednaya dalla quale solo ora stanno finalmente uscendo gli oppositori di Assad, e il prossimo 25 aprile, e direi per tutto l’anno che sta per iniziare, raccontenteremo ossessivamente le i drammi degli internati in epoca fascista fra carcere, confino e altre innumerevoli angherie. Gramsci, Pertini, Terracini, Spinelli, Colorni: se esiste la Costituzione, se esiste, o almeno ha provato a esistere, l’Europa è grazie a gente come loro. Oggi, dunque, dobbiamo prenderci cura di Cecilia, della sua voce, della sua penna, dei suoi racconti e del suo desiderio di andare a descrivere i drammi del mondo nei luoghi in cui si svolgono.
Narrare, spiegare, testimoniare, sentirsi parte di una comunità in cammino e non lasciare solo nessuno: con meno di questo, il nostro mestiere non ha senso. Per questo, terremo accesa la fiaccola anche quando Cecilia  Sala sarà di nuovo a casa, pronta a ripartire, perché una così, fidatevi, neanche Evin può fermarla.

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