La “collera degli imbecilli”, la chiamava Leonardo Sciascia. «Ogni forma di fascismo si realizza attraverso la collera degli imbecilli», scriveva. Ancora oggi quella collera è il carburante del potere politico.
Linguaggio elementare e violento, toni sempre accesi per affermare frasi semplificate al massimo al limite della fake news. E poi i nemici fabbricati ad arte, bersagli sempre pronti per l’italica collera della capa del governo. Sul palco di Atreju, Giorgia Meloni ha preso la mira, puntato e sparato contro i “nemici”, e cioè oppositori politici e – come se fosse normale – uno scrittore. Landini, Schlein, Prodi e Saviano. Il capo del governo, come una bulla qualsiasi, ha approfittato della sua posizione di potere per attaccare i suoi “nemici”.
Lo stesso giorno, sempre ad Atreju, il presidente del Senato Ignazio Larussa ha cercato di “scacciare” un giornalista, Saverio Tommasi, insieme alle telecamere di FanPage. La cosa più grave, forse, è che la seconda carica dello Stato abbia indicato il giornalista alla sua scorta.
Intimidatori, sfrontati, con la faccia come il muro. Niente di nuovo.
Ci siamo abituati a tutto questo? Forse sì. Verbi come asfaltare o umiliare, gli insulti e le bugie denigratorie si sono affermati nel linguaggio comune, piano piano sono state ammesse nel dibattito pubblico. L’insulto è oramai la forma di comunicazione prediletta della politica degli uomini forti e delle donne di ferro, e lo è quindi anche di quella parte di informazione che costringe il giornalismo a un megafono della propaganda.
C’è un governo intero, capeggiato dal suo presidente del consiglio, che fa a pezzi l’Italia – ogni giorno, a colpi di decreto – e, mentre lo fa, prova a nascondersi dietro i finti nemici che premurosamente i giullari di redazione fabbricano. Allineati e coperti grazie a un pezzo di informazione italiana che traveste la propaganda dell’odio in contenuto giornalistico, che spaccia per notizie: invettive insulti, litigi e messaggi d’odio.
leri la presidente Meloni, sul palco di Atreju, ha detto di aspettare i complimenti (quindi la resa) di quelli «…alla Roberto Saviano» per le sue temerarie imprese antimafia a Caivano e in Campania in generale. «…alla Roberto Saviano» lo ha detto scandendo il nome e con il sangue agili occhi. Suo malgrado, Roberto Saviano è diventato un piano simbolico, un bersaglio consolidato su cui fare convergere tutte le collere di tutti gli imbecilli. Messo in mezzo, sistematicamente e impunemente.
Un corpo e un nome a cui vengono recapitati i messaggi – più o meno intimidatori – rivolti a molti di noi. Come un pubblico avvertimento per chi intende contraddire la Propaganda.