È la passione e un forte senso di onestà verso il fruitore della notizia a muovere le gambe e a tenere la schiena dritta ai giornalisti che si mettono in campo in luoghi a rischio. E oggi in questo mondo in cui tutto rischia di essere manipolato, i reporter sul campo – quelli senza paura e senza macchia – sono i più bersagliati.
Insomma raccontare la battaglia per i diritti delle donne iraniane, la resistenza del popolo curdo, quella del popolo Afghano, per non parlare del dramma a Gaza e delle guerre dimenticate come quella in Sudan, é diventata un’impresa sempre più difficile se non impossibile.
Senza dimenticare che la campagna contro la libera informazione si può fare anche in modo meno eclatante in Paesi che si dichiarano democratici con bavagli dentro una o un’altra legge o dove si evitano i contraddittori diretti con i giornalisti che fanno domande.
Non è la prima volta che la nostra categoria viene attaccata. La paura verso la libera informazione ha radici lontane: per restare in Italia, basti pensare a Peppino Impastato e a Giancarlo Siani, assassinati uno da Cosa Nostra l’altro dalla camorra. Cecilia aveva di recente ricevuto il premio alla memoria di Maria Grazia Cutuli, l’inviata del Corriere della Sera uccisa nel 2001 con altri tre giornalisti stranieri mentre documentavano la cacciata dei talebani dall’Afghanistan.
Riportiamo dunque a casa Cecilia senza smettere di tenere alta la guardia perché oggi più che mai i giornalisti ovunque e in diversi modi sono bersagli. Minacciare, imbavagliare, assassinare, i giornalisti che fanno informazione seria e appassionata uccide la libertà e il diritto all’informazione.