Il tribunale amministrativo del Lazio ha accolto la domanda «cautelare» posta dalle società di piccoli produttori cinematografici contro il decreto sul cosiddetto Tax credit varato nell’agosto scorso dall’allora ministro Sangiuliano. Si tratta di una sospensiva, che prelude alla trattazione del merito prevista in un’udienza del 4 marzo 2025. Pur se il dispositivo non cancella tout court l’evocato decreto, la botta è forte.
UNA SCONFITTA piena e amara per il ministero (Mic) che aveva contrabbandato un articolato iniquo e ingiusto come la bonifica del settore dagli sprechi e dai film diretti da registe e registi in odore di comunismo. Com’è noto, del resto, se il comunismo non c’è più, l’anticomunismo prospera imperterrito sfidando ogni buon senso.
Il ministero medesimo si è incaricato di rispondere al Tar in modo alquanto burocratico, vale a dire sostenendo che il testo rimane in vigore. E questo è vero formalmente, ma è effettualmente impraticabile.
Quando mai, infatti, un’ordinanza di sospensiva della giustizia amministrativa lascia tutto in piedi? Si chieda a chi concorre ai concorsi pubblici e si ritrova bloccato l’esito per un ricorso accettato dal tribunale in via cautelare che – stando proprio al significato della parola in questione – significa che ci si tutela dai rischi connessi ad un provvedimento sospettato di iniquità.
E i motivi dell’iniquità sono evidentissimi, secondo il giudizio di buona parte del cinema e dell’audiovisivo, nonché di diverse associazioni nate negli ultimi anni per contrastare inerzie e inadeguatezze di governi e maggioranze parlamentari. Anzi. L’unica via di uscita, ora, è proprio il ricorso ad un’abrogazione legislativa del decreto e alla riscrittura credibile dei criteri ispiratori di un nuovo testo.
Il credito d’imposta nacque, magari con altre intenzioni, già nella riforma varata nel 2016 da Dario Franceschini e l’articolo 15 lì contenuto era presago di effetti sgradevoli, divenuti ora insopportabili con la «secessione dei ricchi» immaginata dal rinnovato articolato. Si provvedeva la costituzione di società particolarmente solventi e inevitabilmente soggiogate a qualche gruppo sovranazionale, con tanto di rilevanti strutture distributive connesse. Per non dire delle modalità ingenerose verso la produzione autoriale meno volta ai ricavi del mercato.
Nomi celebri come Nanni Moretti e numerosissime organizzazioni di lavoratrici e lavoratori del comparto si sono schierate contro. E non a caso, visto che il sistema è ormai bloccato da almeno un anno e mezzo.
ECCO IL PUNTO. Al di là dei latinorum interpretativi dell’ordinanza, un fatto è chiaro: davanti a simile incertezza – ad essere ottimisti- chi si sente di investire e di rischiare? I cantori del liberismo sono pronti a rinnegarlo pur di non ammettere colpe imperdonabili e l’assenza di una visione democratica.
Comunque sia, da ieri la scossa ha leso le fondamenta fragili di un universo che viene omaggiato nei festival blasonati e dimenticato subito dopo.
Che da tale vicenda nasca la voglia rabbiosa di lottare per una riforma seria, che dia finalmente un ancoraggio credibile alla straordinaria creatività del cinema e dell’audiovisivo, la cui storia gloriosa non merita di finire nelle aule dei tribunali e di prostrarsi al fascino indiscreto degli azzeccagarbugli.
Un incidente può essere provvidenziale: il destino ha dato un messaggio netto a chi sede nei luoghi decisionali: questo decreto non s’ha da fare. Né ora né mai.