Prove di trumpismo all’italiana

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Il primo partito d’Italia che attacca Saviano sul social network del loro idolo Musk, accusandolo di ogni nefandezza e, di fatto, esponendolo a una gogna mediatica senza precedenti; l’accanimento della maggioranza contro quei settori della magistratura che pretendono di continuare di applicare le leggi nel rispetto della Costituzione e delle norme europee; lo squadrismo che marcia, per fortuna non incontrastato, a Bologna; qualche aspirante trumpino che si permette di offendere i manifestanti con espressioni incommentabili: questo è lo stato dell’arte nell’Italia di questo triste autunno del mondo, dopo che Trump, mito di tutti i sovranisti del pianeta, è tornato trionfalmente alla Casa Bianca, dando implicitamente mano libera a istinti che fino a qualche giorno fa anche i più esagitati ritenevano di dover tenere a bada.

Non sappiamo dove ci condurrà questa stagione di vuoto della politica, censura continua, repressione del dissenso e compressione della passione e dell’impegno civico: non è un fenomeno solo italiano, anche se noi, va detto, siamo più avanti rispetto ad altri lungo il viale del tramonto della democrazia. Altri seguiranno, tuttavia. Basti pensare al declino della Germania, che a breve potrebbe trovarsi a dover fare i conti con i neo-nazisti al potere. Basti pensare alla Francia, dove ormai il non esaltante Macron, protagonista di un fallimento epocale, politico e culturale, sembra attendere solo l’arrivo di Le Pen o Bardella, in un conto alla rovescia dai contorni angoscianti. Basti pensare a ciò che sta accadendo nella Spagna alluvionata e messa in ginocchio dai cambiamenti climatici che molti negano e Trump, sempre lui!, aggraverà ulteriormente, abbandonando i già insufficienti Accordi di Parigi.

In tanta malora, ci torna in mente Carlo Azeglio Ciampi, che nel 2010, in un libro bellissimo scritto alla vigilia del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, ammise con amarezza che non fosse questo il Paese che sognava quando, da giovane partigiano, si opponeva al nazi-fascismo e alla sua barbarie. Raccontò in un’intervista rilasciata a Serena Dandini che, quando tornò nella natia Livorno nel ’44, trovò una città senza acqua né luce né gas, in cui però la gente aveva il cuore pieno di speranza. Oggi a mancare è, per l’appunto, la speranza, l’idea che possa esistere un avvenire migliore, il sogno di poter costruire insieme una realtà diversa. Sembra che tutto sia finito, perduto, destinato a fallire. Le aggressioni, fortunatamente finora solo verbali, nei confronti di ogni forma di dissenso e di pensiero critico si susseguono, e vedrete che peggioreranno nei prossimi mesi, per via di quel senso di impunità che deriva agli aggressori dal clima che si respira un po’ ovunque. Eppure, non è questo il momento di alzare bandiera bianca. Al contrario, con amor patrio e innalzando la Costituzione, è necessario rileggersi Gramsci e, in particolare, una frase che il pensatore di Ales, icona del’anti-fascismo e simbolo di ciò che esso abbia rappresentato e tuttora rappresenti in Italia, scrisse quando era già recluso nelle carceri fasciste: “Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio”.
Ricominciare daccapo, ripartire, prendersi per mano, ricostruire una comunità solidale in cammino e non aver paura: altro non possiamo fare, ma questo non è poco.

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