Matteotti, morto per mano fascista. Chi ha paura della verità?

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Giacomo Matteotti, deputato socialista assassinato nel 1924, continua a dividere un secolo dopo la sua morte. Non per ciò che rappresenta – o almeno non dovrebbe esserlo – ma per il significato politico e storico del suo martirio. È successo a Roma, nel palazzo di via Giuseppe Pisanelli 40 dove visse fino al giorno in cui fu rapito e ucciso su ordine diretto di Benito Mussolini. Una targa commemorativa, fortemente voluta dal Comune e dalla Fondazione Matteotti, non vedrà la luce. La causa? L’opposizione di alcuni condomini che non vogliono leggere la frase “ucciso per mano fascista”.
E così, a 100 anni dalla sua morte, ci troviamo ancora a discutere su ciò che è innegabile: Matteotti fu assassinato da sicari fascisti per ordine del regime, con la complicità esplicita di Mussolini. La mano era fascista, il mandante era fascista, e il delitto fu fascista.
Chi teme una targa teme la verità? La vicenda sfiora il grottesco.
Come già detto il Comune di Roma, in accordo con la Fondazione Matteotti, aveva proposto una targa per onorare la memoria del deputato socialista, con una dicitura chiara e inequivocabile: “In questa casa visse il deputato socialista Giacomo Matteotti, fino al giorno della sua morte per mano fascista”. Ma questa frase è stata giudicata troppo “divisiva” dagli inquilini del palazzo, preoccupati che potesse attrarre vandalismi o esacerbare tensioni politiche. A rincarare la dose, sono arrivate anche le obiezioni estetiche: la targa sarebbe stata “troppo grande” e “impattante”. Come se le dimensioni di un marmo potessero cancellare una verità scolpita nella storia. Un compromesso sembrava essere stato raggiunto, sostituendo la dicitura con “vile assassinio” e ridimensionando la targa. Ma nemmeno questo è bastato. Alla fine, il Comune, giustamente, ha preferito non piegarsi ulteriormente. Perché cedere sulla “mano fascista” significa, di fatto, cedere sulla verità.

Ricordiamo i fatti. Giacomo Matteotti, deputato e oppositore inflessibile del regime, venne rapito e ucciso il 10 giugno 1924. La sua colpa? Aver denunciato pubblicamente, in Parlamento, i brogli e le violenze fasciste durante le elezioni. Pochi giorni prima della sua scomparsa, Matteotti pronunciò il suo ultimo discorso: “Io, il mio discorso, l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. Sapeva cosa lo aspettava, e Mussolini non lo deluse. La responsabilità diretta di Mussolini nell’omicidio di Matteotti è ampiamente documentata. Fu lui, attraverso i suoi fedelissimi, a ordinare il rapimento, convinto che eliminare il deputato socialista fosse necessario per consolidare il regime. Il delitto suscitò indignazione, sì, ma il Paese preferì voltare lo sguardo. Lo stesso Paese che, a quanto pare, oggi fatica ancora a guardare in faccia il proprio passato.

La Fondazione Matteotti: “La verità non è negoziabile”. A farsi carico della memoria del deputato è la Fondazione Matteotti, che da anni si batte per tenere viva la sua storia e il significato del suo sacrificio. La targa commemorativa proposta al Comune di Roma era parte di questo impegno, ma ha trovato un muro di indifferenza e paura. “La verità storica non è negoziabile”, ribadiscono dalla Fondazione, rifiutando qualsiasi compromesso che oscuri il mandante fascista dell’omicidio.
Il rifiuto di questa targa è molto più di una questione “condominiale”. È il riflesso di un problema più ampio: l’incapacità, o peggio la volontà, di rimuovere i crimini del fascismo dalla memoria collettiva. Dietro la presunta neutralità del ‘vile assassinio’ si nasconde il rischio di un revisionismo subdolo, che trasforma i carnefici in ombre anonime e le vittime in dettagli scomodi. Chi teme una targa come questa, teme la verità. Temono che ricordare Matteotti significhi ricordare anche la vergogna del fascismo italiano. Ma questa non è solo la memoria di una tragedia individuale: è la memoria di un’intera nazione che ha perso la libertà e la democrazia. Ora il Comune sta valutando di spostare la targa su Lungotevere, in un altro luogo legato alla vicenda Matteotti. Ma il fatto che non sia stata collocata nel palazzo dove visse rappresenta una sconfitta simbolica. Una targa non è solo un pezzo di marmo: è un’affermazione di identità e di valori. Se oggi non riusciamo a collocarla dove deve stare, cosa resterà domani del coraggio di chi, come Matteotti, ha sacrificato tutto per combattere il fascismo? La storia non si cancella, né si può rimpicciolire per adattarla alle paure di pochi. La memoria di Giacomo Matteotti merita rispetto, chiarezza e coraggio. Chi ha paura della verità è complice, oggi come allora, di un silenzio che non possiamo più permetterci.


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