Donne coraggiose e libere. Unite, compatte, visionarie. Donne della Resistenza che, nonostante le violenze, la guerra, la prigionia, non hanno mai arretrato e tradito, facendo corpo comune sempre, nonostante le diverse idee politiche, spinte dalla necessità di liberare il Paese prima e di tutelarlo dalle dittature poi.
Ventuno donne, le prime nella storia ad entrare in Parlamento, con la consapevolezza di rappresentare una ‘rottura storica’ in un luogo come l’Assemblea Costituente figlia della novità del diritto di voto universale riconosciuto alla pari a uomini e donne e che, in quel 2 giugno del 1946, portò alle urne quasi 13 milioni di donne e quasi 12 milioni di uomini.
Ventuno donne, il 3,8% dell’Assemblea Costituente, capaci di incidere significativamente nel dibattito e nella scelta delle parole da inserire nella Carta Costituzionale e nel linguaggio quotidiano (a cominciare dall’uso del femminile nella declinazione anche delle cariche istituzionali), così come con le loro azioni avevano inciso nel cammino della Resistenza, non arretrando mai.
A loro, infatti, dobbiamo la modernità di alcuni articoli cruciali: il 3, il 29, il 30, il 31, il 37, il 48 e il 51.
Alle Madri Costituenti dobbiamo l’inserimento nell’articolo 3 dell’espressione “parità di sesso” e “di fatto”, a loro l’inserimento in Costituzione del suffragio universale (48) e la parità di diritti e di retribuzione tra uomini e donne in campo lavorativo (37).
A loro si deve il grande cambiamento nell’istituto del matrimonio che, con l’articolo 29, “è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi” e a loro le regolamentazioni relative alla famiglia.
Grazie a loro “tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza” (51).
Ma la loro non è una storia solo di vittorie: è anche una storia di battaglie che cominciano in quegli anni, innescando un un profondo cambiamento culturale che si compirà nei decenni successivi: l’accesso delle donne alla magistratura (1963), la cancellazione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore (1981), la trasformazione della violenza sessuale da reato contro la morale pubblica e il buon costume a reato contro la persona (1996), il riconoscimento della parità giuridica tra i figli nati dentro e fuori il matrimonio (2012).
Battaglie iniziate dalle 21 quasi 80 anni fa e che ci insegnano il valore della pazienza, dell’importanza del lottare per diritti di cui non necessariamente godremo in prima persona, delle sconfitte, di essere sentinelle quotidiane di quella libertà che ci hanno consegnato e che abbiamo il diritto e il dovere di tutelare. Non girandoci dall’altra parte, non sottovalutando segnali e parole fuori luogo, rispettando noi stesse, coltivando la fiducia nel nostro potenziale, non alimentando una subcultura che si fonda su un’idea di superiorità data dal potere, dai soldi, ma proponendo una gentile rivoluzione culturale che si fondi sempre di più sul rispetto, il dialogo, il sentirsi parte di uno stesso mondo da condividere e riconsegnare, se possibile migliore, ai posteri.
Diceva Teresa Mattei: ”Noi non vogliamo che le nostre donne si mascolinizzino, non vogliamo che le donne italiane aspirino a una assurda identità con l’uomo, vogliamo che esse abbiano la possibilità di espandere le proprie forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese (…). E’ nostro convincimento che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile”.