Mi sento del tutto in minoranza nell’essere d’accordo con le parole molto forti di Maurizio Landini che parlando a un’assemblea di delegati CGIL ha detto che è arrivato il tempo di una vera rivolta sociale di cui lo sciopero del 29 novembre è solo un primo passo.
L’ultima mossa del governo italiano di estrema destra è aver concordato senza CGIL e UIL il contratto nazionale degli statali. Ma la pietra dello scandalo è ovviamente la legge di bilancio, soprattutto per la parte riguardante i soldi non dati alla Sanità, che a sua volta sciopera il 20 novembre.
Le analisi, spesso ben diverse di quelle di una settimana fa, descrivono i diritti dei lavoratori e i diritti civili come un tema residuale, perché tanto in America e non solo i poveri votano per le destre, per i regimi illiberali, per il tanto peggio tanto meglio. E allora che si fa? Si subisce? Ci si allinea? Siamo certamente di fronte ad un volta pagine della storia in senso antidemocratico, ma la storia va avanti e ci ha insegnato che si può scendere molto molto in basso per poi risalire. Ma per questo occorre la faticosa legge del “fare”, dell’opporsi, del ribellarsi, non dell’arrendersi o del tentare gli accordicchi sottobanco.
E ha ben ragione Landini quando affonda: “Sarebbe utile che la politica si occupasse anche di questi temi: delle condizioni di vita e di lavoro delle persone”. Il sindacato è al lavoro per cambiare la legge di bilancio, “perché il salario, la sanità, lo studio, la stabilità di vita delle persone deve tornare ad essere al centro della politica”.
La ribellione sociale è materia difficile per l’Italia, che nella sua storia non ha fatto alcun a rivoluzione (meravigliose eccezioni le pagine di quella napoletana del 1799 e della repubblica romana del 1849 ed è materia sconosciuta alla attuale politica, nel senso del fare una opposizione visibile, in parlamento e fuori, come disse dopo la sua elezione Elly Schlein senza averci mai provato veramente. Fuori. Vuol dire coinvolgere le persone, i nuclei familiari, gli amministratori locali sul territorio, e vuole dire anche alzare la voce ovunque si consumino reati contro la democrazia. E dalle leggi restrittive sulle manifestazioni (si cominciò con i rave party, ricordate) fino alla guerra dichiarata alla separazione dei poteri con l’attacco alla magistratura, per arrivare ai reati di opinione, alle leggi bavaglio, alla destrutturazione pratica nell’applicazione di leggi come quella sull’aborto e sui consultori, cos’altro manca per una ribellione quotidiana visibile, davanti ai palazzi, nelle piazze, anche piccole, e nelle fabbriche, anche grandi, dove quotidianamente viene massacrata la dignità del lavoro?
Avrei voluto che un partito di opposizione cercasse quel rider che nella notte del nubifragio su Bologna portava le pizze seguendo un algoritmo, ci parlasse, provasse a farci capire che la destra a quel mondo non può dare alcuna speranza, e che anzi esalterà quel tipo di sfruttamento che non andrebbe chiamato lavoro, seguendo le follie di personaggi inquietanti come Elon Musk, ormai padrone del mondo, forse.
E allora ha ragione Landini e il suo slogan di tornare sulla “via maestra” dopo un anno che ha visto l’Italia andare sempre più indietro e costruire una vera ribellione che parta dei cittadini, fra i quali tantissimi non vanno più a votare, i cittadini affamati dall’inflazione, dalle politiche sbagliate, da un capitalismo intoccabile al quale non si può chiedere un centesimo di sacrificio, da una evasione fiscale che ha il primato in Europa.
Mi echeggiano sempre nella testa le pagine di Don Milani sulla necessità della disobbedienza, “La disobbedienza è una virtù”, e la ribellione è la sua logica conseguenza pratica.