Oggi, 25 novembre, nel commemorare la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, è imperativo riflettere su quanto, spesso, il tema della violenza di genere si intrecci con le dinamiche dei conflitti, soprattutto con la pratica dello stupro utilizzato come arma di guerra. Nonostante l’impressionante volume delle notizie che ci giungono da terre lontane, dove le guerre continuano a distruggere vite e a negare diritti civili e umani, l’argomento continua a essere sottovalutato nel nostro Paese.
Prendiamo, ad esempio, il Sudan. Qui, le donne hanno avuto un ruolo cruciale nella rivoluzione che ha portato alla caduta del regime del presidente dittatore Omar al-Bashir nel 2019.
Durante quella grande mobilitazione le donne sudanesi, con coraggio e determinazione, hanno chiesto uguaglianza e protezione, appellandosi al mondo affinché le loro voci venissero ascoltate e non andasse perso il messaggio di speranza di un futuro migliore che hanno veicolato nonostante il contesto di profonda instabilità sociale.
Purtroppo, l’eco delle loro richieste è andata a scontrarsi con il muro della sordità del nuovo governo transitorio, che si è dimostrato incapace di garantire i diritti fondamentali delle donne e di proteggere le loro vite.
Oggi, cinque anni da quel momento storico costato la vita a migliaia di uomini e donne sudanesi, ci troviamo di fronte a un nuovo dramma: il conflitto tra le Forze armate del Sudan (SAF) e le Forze di supporto rapido (RSF), iniziato nell’aprile del 2023. Questo scontro ha già causato la morte di circa 150 mila persone, secondo l’inviato speciale degli Stati Uniti nel Paese, Tom Perrielllo (anche se le stime ufficiali sono ferme a 25.000 vittime) e ha costretto quasi 11 milioni di individui a lasciare le loro case per cercare rifugio.
In questo contesto di violenza, il corpo delle donne diventa nuovamente un campo di battaglia, e lo stupro viene tristemente utilizzato come arma di guerra. Le donne, già gravemente vulnerabili a causa della loro posizione socio-economica, subiscono le conseguenze più devastanti in misure agghiaccianti.
Il tutto nell’indifferenza pressoché totale di una larga fetta della comunità internazionale.
E una domanda sorge spontanea: perché i movimenti femministi in Africa e Medio Oriente non ricevono il supporto adeguato dalle organizzazioni occidentali, che si dichiarano in prima fila nella lotta contro la violenza di genere? La solidarietà internazionale è troppo spesso limitata a parole e dichiarazioni vuote.
Le donne sudanesi, che sono state pionieri di cambiamento in un movimento rivoluzionario, meritano un sostegno concreto, che vada oltre la retorica. La loro battaglia per l’uguaglianza e la protezione è un’aspettativa legittima e una richiesta fondamentale per la giustizia sociale.
Si tratta di una responsabilità collettiva che ci chiama all’azione. Non possiamo rimanere in silenzio di fronte a una violenza che non conosce confini, né ignorare l’urgenza di un cambiamento che deve partire dalla piena attuazione dei diritti delle donne. È fondamentale che le organizzazioni internazionali, i governi e le società civili si uniscano per sostenere le attiviste e le organizzazioni femministe nei contesti di guerra e conflitto.
Oggi più che mai, rendiamo omaggio a tutte quelle donne che lottano per la loro libertà e dignità, in Sudan e in tutto il mondo. Celebrando il loro coraggio, non possiamo permettere che il loro grido di giustizia rimanga inascoltato. È fondamentale che, in questa Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ci uniamo in una sola voce per porre fine al silenzio assordante che circonda la violenza di genere e fare finalmente sentire il nostro sostegno a tutte le donne che combattono per un futuro migliore.