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La privatizzazione del mondo

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Con quali lenti è giusto guardare al voto americano, al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca? Forse non esiste un solo paio di occhiali, quello giusto. Occorre guardare bene da vicino e da lontano i piccoli dettagli e il grande quadro. Di certo pero gli schematismi appaiono tutti fuorvianti.

Elite e blue collars, America profonda, bianchi, neri e latinos; sono tutti soggetti rilevanti. Ma un’immagine si staglia sulle altre. Un imprenditore privato, Elon Musk, è apparso sul palco del vincitore dopo aver seguito con lui, nel suo salotto, lo spoglio elettorale. Viste le dimensioni del suo portafoglio non ho l’impressione che stesse lì a indicare l’America profonda, i blue collars che hanno scelto Trump e abbandonato Kamala Harris.

Ho l’impressione che la sua presenza ci dica che si è chiusa l’epocale guerra tra stati e grandi corporations, con la vittoria di queste ultime. I capitali di cui questi soggetti globali dispongono sono ad altri soggetti indisponibili. Invitandolo a seguire con lui lo spoglio elettorale Trump ha detto a Musk che riconosce alle grandi corporations una sorta di supremazia?

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L’epoca nuova sembra questa, e lo stesso discorso sul consumismo, anima della nostra identità e delle nostre paure, cambia profondamente. Le grandi corporations hanno in mano il destino, il carattere della nostra identità, gli stati possono fare poco al riguardo? Forse è così, ma questo non vuol dire che le grandi corporations stiano tutte con Trump; ce ne erano altre vicine alla candidata democratica. Hanno vinto anche loro, certamente. Ma è il gesto politico che Trump ha voluto fare che sembra indicare l’epoca nuova. Un riconoscimento di autorevolezza, forse di autorità.

Trasferiamo l’immagine a casa nostra, quella di un tempo. Si chiude la campagna elettorale e il segretario della Dc invita Gianni Agnelli a seguire la serata elettorale a casa sua, poi lui  si unisce al leader politico sul palco della vittoria. Non è mai successo e mai sarebbe potuto succedere, ma avrebbe avuto un significato preciso, sebbene tutto italiano.

In queste ore abbiamo visto il capo di un’azienda che è salito sul palco del capo di quello che sappiamo essere lo Stato più importante al mondo. Bisogna ammettere che il segnale è forte, chiaro, forse globale. Si tratta di un riassetto soltanto americano? O le grandi corporations incassano un segnale che indica davvero una nuova stagione?

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Qualche dato sugli investimenti per l’Intelligenza Artificiale aiutano a orientarsi: l’Unione Europea in questo campo ha investito un po’ più di 2 miliardi. Dal 2018 al terzo trimestre del 2023, le aziende di AI europee hanno raccolto circa 32,5 miliardi di euro, mentre le omologhe statunitensi hanno ottenuto oltre 120 miliardi di euro.

Leggo sul sito cyber Security: “Come riportato dal New York Times, attualmente, non ci sarebbero controlli sulle linee guide applicate a questi modelli e non c’è modo per gli utenti comuni di intervenire. Per questo motivo, nella Silicon Valley, al momento, uno dei dibattiti più accesi riguarda chi dovrebbe controllare lo sviluppo dell’IA e come”.

Mettendo tutto insieme sembra emerge un nuovo paradigma su chi governa il futuro del mondo. Ci sono delle parole che impressionano e al contempo sanno di vecchio, come “imperialismo”. Non sarà imperialismo, ma l’impressione è che sia suonata l’ora della privatizzazione del mondo.

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Privatizzare il mondo avviene nel segno del consumismo, non credo che su questo ci possano essere molti dubbi. I social media, così importanti, sono il veicolo di questa privatizzazione che con essi entra nella formazione dei nostri desideri e delle nostre paure.

È per questo che stabilire linee di divisione che potrebbero essere superate sarebbe fuorviante. Ci pone non in una prospettiva sbagliata, ma su un piano ormai inesistente. Il punto non è se la cultura woke, imputata alla Harris, abbia perso rispetto a quella “popolana” di The Donald. Il punto è se Trump ha annunciato la privatizzazione globale.

Chi volesse fronteggiare questa tendenza dovrebbe scegliere l’altra, non ondeggiare tra parametri che non corrispondono alla sfida odierna: il consumo ci esaurisce? È questo il nostro unico orizzonte?

Da questo punto di vista mi sembra che l’alternativa non sia quella offerta dai Democratici, ma quella indicata da Francesco. Il mondo non si può privatizzare perché nessun consumismo ci esaurisce. Rimane un desiderio di umanità che non si può privatizzare. È l’enciclica Fratelli tutti il programma alternativo.

L’elasticità del nostro cervello infatti dipende essenzialmente da due fattori; il gusto del nuovo e la capacità empatica. I nostri neuroni entrano in sintonia con quelli altrui, le nostre interiorità comunicano direttamente e i nostri cervelli sono neuro-sociali – visto che i neuroni di ciascuno di noi hanno assolutamente bisogno di quelli degli altri, di una risonanza empatica.

Per vivere abbiamo bisogno di persone nei confronti delle quali provare un sentimento empatico. Rinunciando a vedere questo si scivola, al di là delle emergenze, delle guerre, dei disastri, in un consumismo totalizzante – che però ci atomizza, isola, e quindi non può essere soddisfacente e diviene creatore di rabbie e di paure che non si possono risolvere se non in altre.
(Da www.settimananews.it)


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