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La faglia, piccola guida alle elezioni Usa 2024

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Seguo gli Usa, da giornalista, dal 2006, ci sono stato la prima volta nel 2002 e ho visto emergere la faglia che progressivamente divideva gli Stati (dis)Uniti. Dal 2016 seguo Donald Trump l’uomo che è riuscito a capitalizzare quelle divisioni.
Quella che state per leggere è una piccola guida alle elezione presidenziali Usa 2024 in un Paese mai diviso come oggi. E’ piccola quindi non ha pretese di essere esaustiva.

VIGO COUNTY
Dal 1888 chi ha vinto in questa contea dell’Indiana (prende nome da un imprenditore italiano) è sempre arrivato alla Casa Bianca con 3 eccezioni: 1904, 1952, 2020. Ci sono tornato per capire cosa fosse cambiato con la vittoria di Biden (l’eccezione del 2020 che le ha fatto perdere il titolo di “bellweather of America”). Le risposte sono varie e vanno dalla fine delle fabbriche all’invecchiamento della popolazione con fuga dei giovani. Quella però più “generalizzabile” è l’estinzione degli elettori viola, gli indecisi, capaci di cambiare di elezione in elezione ma soprattutto capaci di votare, per esempio, un presidente democratico e un deputato/senatore repubblicano.

AFFLUENZA
E’ raro ormai vedere un candidato repubblicano andare in una contea democratica e viceversa. Forse l’unica vera di questa campagna è stata Trump in Virginia. Ci si concentra sui “propri”, perchè la frattura è tale nell’elettorato che il successo non sta nel convincere gli ormai “estinti” indecisi ma attingere all’enorme bacino dei non votanti.
In una contrapposizione “calcificata” vinci se aggiungi numeri all’equazione.

RECORD
Nel 2020 c’è stata un’affluenza record. A seconda dei criteri seguiti, nel 2020 c’è stata una partecipazione del  62,8 o 65,9%, un record. Quest’anno è difficile venga superata ma ci si potrebbe avvicinare.

SONDAGGI
Nel 2016 a sfavore di Trump, nel 2020 contro Biden, i sondaggi sono ormai ampiamente inaffidabili questa volta ancora di più sia perchè l’investimento dei due candidati sull’aumento dell’affluenza li rende vulnerabili (se sei sotto di dieci voti ma porti undici dei “tuoi” a votare hai vinto nonostante le previsioni) sia per via di distacchi sono talmente ristretti tra i due concorrenti, entro o vicino al margine d’errore statistico.

STATI IN BILICO
Sono sette (dal 2020 l’Ohio non lo è più, essendo “passato” saldamente ai repubblicani) e nell’ultimo mese di campagna avete la quasi certezza di incontrare i candidati in un evento elettorale. Gli altri 43 stati vengono dati per scontati perchè non conquistabili (blu come la California o rossi come il Texas) quindi non c’è una vera e propria campagna elettorale. I soldi, i comizi, gli spot elettorali si concentrano sugli stati in bilico, chi li conquista si aggiudica la vittoria a livello nazionale. Nel 2024 sono: Arizona (11 voti), Georgia (16), Nevada (6), Michigan (15), Wisconsin (10), Pennsylvania (19), North Carolina (16)

GRANDI ELETTORI
Dimenticate il voto popolare cioè il complesso dei voti raccolti a livello nazionale da un candidato (la Clinton perse prendendo più voti di Trump nel 2016). Quello che conta è la vittoria negli Stati: mantenere quelli del proprio colore (blu, democratici; rossi, repubblicani) e vincere quelli in bilico. Ogni stato ha un numero di voti elettorali (grandi elettori) che vanno sommati per raggiungere quota 270.

CONTEE
Dimenticate il voto sul territorio statale, per capire quello che sta davvero accadendo nell’assegnazione dei grandi elettori bisogna guardare a livello di contee. Esempio tipico l’Arizona come ben ci hanno insegnato le elezioni del 2020: all’inizio Trump sembrava in un vantaggio incolmabile ma arrivavano voti da contee come Greenlee, La Paz e Yuma. Il grosso della popolazione si concentra però a Maricopa (la contea più grande degli Usa, quella di Phoenix) e a Pima (Tucson). Stesso ragionamento vale per il Nevada, per capire dove va lo stato bisogna osservare le contee che ricomprendono Las Vegas e Rhino, le altre sono dettagli (elettoralmente parlando).

VOTO IN ANTICIPO
Quest’anno è particolarmente forte la partecipazione al voto in anticipo ma difficilmente supererà quella del 2020. La proiezione (molti voti sono per posta quindi potranno essere calcolati sono nei prossimi giorni) è sui 77 milioni contro i circa 100 del 2020.
Visto che si vota il secondo martedì di novembre (lo stabilisce una vecchia legge da società pre industriale, largamente agricola) e il giorno infrasettimanale non è esattamente un incentivo al voto, negli anni i vari stati hanno aperto i seggi in anticipo e/o consentito voto a mezzo posto. Un’altra affluenza all’ “early voto” negli ultimi anni era un segno pro-democratici. Nel 2024 non è più così anche i repubblicani hanno massicciamente investito sul votare appena possibile.

MICHIGAN, GLI ARABO AMERICANI
Il grosso degli arabo americani, per motivi storici legati alla manodopera della Ford in particolare, vive in Michigan. La capitale de facto è Dearborn. Parliamo di circa mezzo milione di persone, una comunità attivissima politicamente e molto vicina ai democratici. Per la linea Biden su Gaza e poi per le bombe sul Libano (buona parte degli arabo americani sono di origine libanese) gli arabo americani e i democratici sono ai ferri corti. In ballo ci sono mezzo milione di voti, nel 2016 la Clinton perse il Michigan per 10mila voti, nel 2020 Biden vinse lo stato per 160mila voti circa. Potenzialmente gli arabo americani possono costare la Casa Bianca alla Harris. Una parte della comunità si è schierata con i “non allineati” che hanno provato a pesare nelle primarie del Michigan con un risultato inatteso di 100mila voti (appunto uncommitted). Un’altra parte sta apertamente facendo campagna contro i democratici per l’indipendente Gill Stein, è il movimento “Abbandon Harris”. Quando gli si chiede: ma Trump non è peggio? E’ pur sempre il presidente del “muslin ban” che ha criminalizzato i mussulmani e bloccato parenti ed amici dal viaggiare negli Usa. La risposta che ho sentito è stata: “quando si è complici di un genocidio non c’è un male minore”.

PENNSYLVANIA, I PORTORICANI
Al contrario della comunità arabo americana, quella portoricana partecipa poco alla vita politica e al voto. Buona parte dei portoricani vive a New York (stato blu) ma anche in Pennsylvania circa mezzo milione di voti che possono cambiare la corrente in quello stato in bilico. I portoricani di Filadelfia ho visti molto motivati negli ultimi giorni della campagna dopo le offese sentite in un comizio di Donald Trump al Madison Square Garden ad opera di un “comico”: Portico, un’isola di spazzatura.
Nel 2016 Trump ha vinto al Pennsylvania per 44.292 voti, nel 2020 Biden ha vinto per 80.555.

LE DUE COSTE
Qualcuno una volta mi ha detto: gli Usa sono due coste con il nulla il mezzo. Aggiungo io, quel nulla decide le elezioni e le guerre. Non fatevi ingannare dalle grandi metropoli come Boston, Los Angeles, San Francisco, New York. Possono essere irrilevanti come dimostra il 2016.

AREE RURALI VS AREE URBANE
Due mondi ormai completamente separati, le aree rurali dove (in particolare nel midwest) continua a valere l’immaginario di “So God Made the Farmer” (il famoso discorso.manifesto di Paul Harvey ) e sono un manifesto della nostalgia e del tradizionalismo americano (bianco e protestante). Le aree urbane che sono il trionfo della diversità: etnica, sessuale, religiosa, culturale…Sono due americhe che sempre più si considerano nemiche e non si parlano.

L’ABORTO
Con la nomina di tre giudici alla SCOTUS, la corte suprema, Trump ha spalancato le porte alla modifica della sentenza su “Roe contro Wade” quindi all’assegnazione ai singoli stati della facoltà di mettere l’aborto al bando. Ormai una donna americana su tre vive in area di abort ban e deve spostarsi in altri stati dell’Unione (o in Messico) per abortire. Una messa al bando che sta avendo conseguenze non solo sul “diritto alla scelta” delle donne ma anche sul sistema sanitario e sull’assistenza sanitaria. Negli stati dove il diritto all’aborto non è messo in discussione e tra le donne più mature il tema per non smuove le elettrici, nonostante il rischio di una messa al bando nazionale con Trump presidente. Il tema dell’aborto comunque rimanda all’idea patriarcale delle donne che il presidente propugna tra detto e non detto.

I MIGRANTI
Quella dei migranti per Trump è stata un’ossessione in questa campagna elettorale tra slogan xenofobi (per esempio i tuoi prossimi vicini di casa con la foto di detenuti delle gang in El Salvador) e il racconto di un Paese invaso. Il tutto condito da storie false come quella degli haitiani che mangiano cani e gatti a Springfield. Dopo il 2016 quest’anno sono tornato nella cittadina dell’Ohio, un tempo capitale industriale (così ricca che Frank Lloyd Wright venne chiamato a disegnare la villa di un imprenditore locale) dagli anni 80 in poi in crisi fino al titolo di città più infelice d’America. Gli haitiani arrivati qui dal 2018 in poi (con un picco durante il covid grazie alle agenzie interinali, per un totale di 20mila su una popolazione di 60mila) non solo non sono illegali ma hanno fornito mano d’opera alle fabbriche locali e rianimato una città che sembrava destinata a scomparire dalle mappe. Volere difendere l’America dalla sua decadenza può essere meno semplice di quello che sembra, come dimostra il caso di Springfield, ma agitare l’invasione e la liberazione (con deportazioni di massa) nei comizi sembra essere molto conveniente.

COSTO DELLA VITA
Per quanto gli indicatori diano l’economia Usa in grande forma (e le serie storiche la danno in condizioni decisamente migliori rispetto a quella europea, i segni dell’inflazioni sono ovunque e sono pesanti. Gli stipendi sono aumentati e l’inflazione si è fermata ma dopo il record di 40 anni gli effetti sui prezzi sono notevoli e (al solito) non tornano indietro. Questo colpisce la persone (assieme all’aumento del costo del denaro quindi, per esempio, dei mutui) e aiuta decisamente Trump che promette di dimezzare il costo della benzina in un anno. La Harris parla di provvedimenti contro le aziende che hanno lucrato sui prezzi ma in un sistema deregolamentato appare una minaccia poco credibile.

Mi ha colpito in particolare il caso della contea di Chester, la più ricca di Pennsylvania, dove un mix di fattori locali e nazionali, tra il 2020 e il 2024 hanno portato all’aumento dei prezzi dei generi/servizi di prima necessità del 60% e del cibo distribuito dal banco alimentare (fonte di questi dati) del 50%

LA GLOBALIZZAZIONE
Ho partecipato ad un manifestazione della UAW (il potente sindacato dei metalmeccanici) contro Stellantis, i tagli al personale e il pericolo di spostare stabilimenti all’estero. L’UAW sostiene la Harris. In contemporanea un gruppo (piccolo ma rumoroso) chiamato Auto Workers for Trump protestava davanti ai cancelli di un vicino stabilimento Chrysler, quello di Warren Stamping. Gli opera (soprattutto quelli bianchi) sono spaccati, è pericolante il famoso blue wall, il muro democratico che ad est coincideva con gli stati più industrializzati oggi trasformatisi in rust belt (è rimasta solo la ruggine). Il tema è la globalizzazione, dopo aver rinegoziato il Nafta (libero scambio con Canada e Messico) se delle fabbriche dovessero spostarsi in Messico (recente ossessione nei discorsi dell’ex-presidente) Trump dovrebbe prendersela con se stesso. Eppure Trump sembra molto più credibile o determinato nell’affrontare un tema che i democratici di fatto ignorano politicamente (nonostante Biden si sia speso nel tentare di riportare alcune produzioni cruciali negli Usa, come chip e batterie).

E’ L’ECONOMIA BELLEZZA
Si è sempre parlato della regola aurea delle elezioni americane: gli elettori votano con la tasca. Non pare essere più vero se si pensa al caso degli agricoltori che per 2/3 stando ai sondaggi sono pro Trump, quel presidente che nella guerra dei dazi con la Cina ha danneggiato l’export agricolo Usa facendo perdere al Paese lo status di primo esportatore di soia verso Pechino a vantaggio del Brasile. Ora Trump promette nuovi dazi molto più forti, qualcosa di simile allo Smooth-Howley degli anni ’30 (dazi che contribuirono alla grande depressione abbassando le esportazioni). Eppure gli agricoltori sembrano intenzionati a votare per Trump. Io la chiamo la sindrome di “so god made the farmer”.

GLI ERRORI DELLA HARRIS
Non essere Michele Obama (amatissima e dalla potente retorica); non essere riuscita a prendere le distanze da Joe Biden i cui errori le sono state tutti addossati in quanto sua vicepresidente; essere rimasta in silenzio su Gaza; aver inseguito i repubblicani su temi come le armi (vedi il passaggio “se qualcuno entra in casa mia gli sparo” nell’intervista con Oprah).
Pur chiaramente non essendo un “errore”, per sintesi lo inserisco in questo paragrafo. La Harris deve affrontare una doppia sfida volere essere la prima donna presidente e la prima presidente di colore, un doppio record. Un avversario maschilista e divisivo come Trump è stato pronto a capitalizzare questi aspetti (vedi il grido della folla “ha lavorato all’angolo della strada” quando Trump diceva “non ha mai lavorato da McDonald”).

GLI ERRORI DI TRUMP
L’essere stato completamente spiazzato dal ritiro di Biden, in conseguenza del quale ha perso argomenti chiave come l’età (che poi è stato un altre grande imbroglio retorico il far passare un 78enne come un 35enne al cospetto di un 81enne); la sua continua escalation retorica tra razzismo e intimidazioni. Negli ultimi dieci giorni di campagna le sue parole sulle donne e la “battuta” sui portoricani al suo comizio potrebbero costargli care, carissime; il suo parlare ormai solo di sè stesso e molto meno delle persone che vorrebbe difendere, un culto più che un candidato

IL RE
Fidatevi di John King della CNN e della sua lavagna elettronica, conosce elettoralmente ogni contea (e ogni sondaggio) degli Usa

La faglia, piccola guida alle elezioni Usa 2024


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