I padroni della rete, sfruttando l’economia del gratis, basata sulla pubblicità, si sono concentrati sulla gallina dalle uova d’oro: la produzione di utenti-merci a mezzo di utenti-merce. Certo, non disdegnano di manipolare il discorso pubblico a loro piacimento, servendosi di algoritmi sofisticati, generatori di fake news e post-verità; tuttavia, solo di rado hanno mostrato il volto del loro potere assoluto come nel caso della inconcepibile interferenza di Musk negli affari del nostro paese.
Ingenuamente, ha contribuito a questo mascheramento del potere, lo stato di rassegnazione che ha pervaso gran parte dei sociologi per l’ingresso tumultuoso di miliardi di cittadini nel discorso pubblico. Questo diffuso e snobistico scoramento per l’invadenza dei “nuovi barbari” (Baricco) ha messo in ombra la questione di fondo: il micidiale meccanismo di sfruttamento degli “utenti produttori di contenuti”, volto unicamente ad incrementare i profitti. Le vittime più sprovvedute di questa gigantesca giostra sono state cornute e mazziate.
Piuttosto che “disconnettersi e cancellare le tracce” come sentenziò Jaron Lanier, un artefice della rete, è opportuno interrogarsi su quali azioni intraprendere perché parole come social, amici, condivisione e argomentazione razionale ritrovino il loro significato autentico.
Immaginare una regolamentazione globale in senso democratico della rete attraverso organismi internazionali come il G20, il WTO o l’ONU è del tutto irrealistico non foss’altro che tutti i soggetti attualmente in campo sono americani.
Pertanto, una prospettiva simile è realizzabile solo nell’Unione Europea, dove peraltro sono in vigore leggi come il Regolamento sulla Protezione dei Dati (GDPR), sull’Intelligenza Artificiale (AI Act) e sulla libertà d’espressione (EMFA).
Nel nome di un “Internet bene pubblico”, potrebbe nascere un consorzio internazionale che abbia come modello di riferimento, o addirittura prenda le mosse, dall’EBU/UER la storica alleanza tra i media di servizio pubblico europeo che riunisce 68 membri attivi, rappresentanti di 113 organizzazioni. Su queste basi, si potrebbe creare un consorzio pubblico-privato, ispirato a una economia del disinteresse contrapposta all’economia del gratis, con un marchio “Internet Bene Pubblico” che garantisca agli utenti affidabilità delle fonti, tutela della privacy, coesione sociale e condivisione di contenuti, nel rispetto dell’Articolo 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione”. Sul palazzo della sede europea di questo nuovo organismo, potrebbe campeggiare la frase con cui inizia la Metafisica di Aristotele: “Tutti gli uomini per natura desiderano sapere”.
Vasto programma, si dirà, anche perché sull’impresa pubblica grava il pregiudizio di non poter essere, per la sua stessa natura, una forza innovativa e in grado di reggere il confronto con l’impresa privata. La verità è che manca la sensibilità politica e culturale nelle classi dirigenti che le porti a elaborare strategie e piani d’azione rispondenti alla necessità di creare un ecosistema digitale europeo della comunicazione che coinvolga tutte quelle realtà, pubbliche e private che erogano servizi nel rispetto della dignità dei cittadini-utenti.
La storia delle televisioni di servizio pubblico nei paesi democratici ha dimostrato che un’alternativa alla televisione commerciale è possibile, necessaria. Mutatis mutandis, senza incorrere in banali semplificazioni, questa ipotesi può rivelarsi al tempo stesso la più impervia ma anche la più realistica a meno che non ci si voglia rassegnare a una semplice opera di contenimento essendo consapevoli che misure antitrust come la frammentazione dei monopoli, la fine dell’elusione fiscale e l’imposizione di regole di comportamento non avrebbero nessuna incidenza sulla questione di fondo: la mercificazione degli utenti, con tutto quello che politicamente e socialmente ne consegue.
Se l’Europa si incamminasse su questa strada, con la consapevolezza di avere tutte le carte in regola per porsi all’avanguardia di questa svolta democratica globale, potremmo finalmente leggere dei saggi su Internet meno apocalittici, meno rassegnati e magari anche propositivi.
Per contrastare un lupo predatore, bisogna disporre di una forza che per aggressività, potenza e prontezza di riflessi, sia analoga alla sua; in altre parole, serve un lupo che stia dalla parte della preda: un cane-lupo, per l’appunto.