Il G20 di Rio tra attentati e congiure

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Con la polizia federale che alle prime ore di questo martedi 19 novembre ha arrestato tre alti ufficiali dell’esercito accusati di aver tentato un golpe e un attentatore morto a Brasilia dopo aver lanciato due rudimentali bombe contro l’edificio della Corte Suprema la settimana scorsa, i complotti dei seguaci dell’ex presidente Bolsonaro contro le istituzioni della Repubbblica sono
deflagrati sulla conclusione del G20 alla sua seconda e ultima giornata a Rio de Janeiro. Lula vi stava giocando ancora una volta la non facile parte del mediatore politico. Stavolta estesa perfino
alla famiglia, con la moglie pubblica controparte. Un esercizio da acrobatico contorsionista politico. Doverosamente in veste diplomatica. In quanto anfitrione della gigantesca riunione
internazionale che per la prima volta nella sua storia ha praticamente messo in stato d’assedio una delle metropoli più sognate del pianeta (la sola delegazione cinese somma oltre mille persone, le
misure di sicurezza hanno portato lungo le spiagge super- sexy della baia di Guanabara più mimetiche e mitragliatori che bikini e top-less). Lo si è visto subito nella gelida epperò ineccepibile
stretta di mano riservata al notoriamente detestato collega argentino Javier Milei, campione del liberismo ultra. Gli echi ancora sordi ma intensi delle esplosioni nel cuore della capitale e quelli metaforici però non meno dirompenti nei delicati equilibri interni alle forze armate (e indirettamente nelle istituzioni), hanno sconvolto l’apparente tregua determinata dal prestigioso e complesso
appuntamento internazionale. Divenendone il tema di tutte le conversazioni extra ufficiali. Sorpresa e inquietudine hanno preso inevitabilmente a serpeggiare tra le migliaia di delegati e funzionari degli oltre 40 paesi d’ogni continente presenti. L’ordine del giorno che pone uno di seguito all’altro temi essenziali alla stessa sopravvivenza dell’organismo internazionale, ma fin
dalla vigilia sovrastato dal dibattito e dalle trame sui conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente, ne è stato turbato pur mantenendo i suoi tempi. I previsti impegni a contrastare fame,
povertà e deterioramento climatico del mondo; favorendo invece una tassazione delle grandi fortune economico-finanziarie, il pieno accesso dei paesi emergenti ai massimi consessi mondiali e
la parità tra uomini e donne, sono stati sottoscritti dalla grande maggioranza delle delegazioni. Sebbene tra obiezioni e distinguo dei potenti interessi che vi si oppongono. I tumultuosi avvenimenti della prima mattinata hanno ridimensionato il mini-scandalo suscitato dalla provocazione spontanea ma non per questo meno clamorosa della consorte di Lula. Espressione di un Brasile vasto e radicale, sebbene minoritario, deciso a evitare che le preoccupazioni per le guerre in atto eludessero di fatto gli impegni universalistici -sociali e culturali- del summit. E di cui si è fatta impetuosa portavoce la first lady -nientemeno-, Rosangela, 58 anni (20 meno del Presidente), una sociologa fin da giovanissima personalmente impegnata nel dramma della marginalità e senza molte remore per diplomazia e protocollo. Che ha riassunto questi malumori con un eccesso di disinvoltura, mandando letteralmente a quel paese l’ormai onnipotente padrone di mass-media, satelliti planetari, auto elettriche e mentore massimo del neo-presidente degli Stati Uniti, indentificato come il simbolo della menzogna, della fake-news:” No tengo medo de voce, fuck you, Elon Musk”. Senza porre alcun dubbio sul diritto di chiunque ad esprimere la propria opinione, Lula è intervenuto per dire che nella sua veste di capo di stato sentiva il dovere di scusarsi, anche perché si può dissentire senza rinunciare alle buone maniere. Bombe e arresti rivelati stamane le hanno però evidentemente relegate nel ripostiglio delle migliori intenzioni. Di questi tempi assolutamente fuori moda, purtroppo, e non soltanto in Brasile. L’attentatore di Brasilia, che sarebbe rimasto ucciso da uno degli ordigni armati da lui stesso, è stato rapidamente identificato. E’ un idraulico sui sessant’anni, di fede evangelico-battista, acceso e noto sostenitore dell’ex presidente Jair Bolsonaro. Al pari del generale e dei due colonnelli arrestati e di altri indagati, tutti dei “Ragazzi Neri”, un corpo speciale dei reparti d’assalto. I militari vengono ritenuti responsabili del colpo di mano compiuto nel gennaio del 2023 nel tentativo di impedire che il già eletto Lula si insediasse nel palazzo presidenziale del Planalto. Richiesto di commentare questi ultimi eventi, il capo di stato ha confermato di affidarsi all’operato della giustizia e concluso il G20 con un invito alla massima collaborazione internazionale, per favorire con lo sviluppo anche la stabilità di tutte le istituzioni. Ha evitato ogni riferimento all’amnistia a cui insistentemente puntano Bolsonaro e i suoi parlamentari al Congresso, affinchè l’attualmente interdetto ex presidente possa ricandidarsi.


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