Ieri, a 61 anni, è scomparso Giuseppe Di Bello.
Se n’è andato nel giorno di due anniversari importanti: il terremoto del 1980 e la marcia dei 100mila a Scanzano Jonico contro il deposito unico di scorie nucleari. La sua morte è avvenuta all’improvviso, dopo che fino alla fine aveva partecipato attivamente a un’altra grande, assurda e necessaria battaglia: quella per chiedere verità sulle cause della grave emergenza idrica che da mesi tormenta un’area di una regione il cui stemma ufficiale mostra quattro fiumi.
Giuseppe Di Bello, per tutta la vita, ha lottato per salvaguardare la risorsa più preziosa: l’acqua. Proprio per questo, nel 2010, subì un’ingiustizia tanto incomprensibile quanto inaccettabile. Nel 2020 ci aveva raccontato la sua storia, ricordando:
«Da tenente della Polizia Provinciale- spiegò- desideravo compiere al meglio il mio dovere. Per questo mi misi in ferie e pagai di tasca mia le analisi sulle acque dell’invaso di Partusillo, cercando di offrire un servizio alla comunità che mi pagava lo stipendio. Invece di ricevere un riconoscimento, fui denunciato e assegnato temporaneamente al museo, una misura che sarebbe dovuta durare pochi giorni. Quei pochi giorni sono però diventati dieci anni. Durante questo periodo mi sono state negate opportunità concesse ad altri. Mentre i miei colleghi avanzavano di carriera, diventando anche comandanti della Polizia Municipale in diversi comuni, io ho subito decurtazioni dello stipendio e ho visto bloccate le mie progressioni di carriera sia nella Polizia Provinciale sia nella Polizia Ambientale. Ho atteso fiducioso, vincendo anche due volte in Cassazione, ma ho dovuto rientrare in servizio solo in condizioni straordinarie, durante l’emergenza coronavirus. La mia vertenza proseguirà davanti al Giudice del Lavoro, poiché in tutti questi anni sono stato messo in ginocchio, senza alcun sostegno legale: ho dovuto pagare il mio avvocato da solo».
Un’altra delusione arrivò quando, nonostante fosse stato il più votato alle regionarie del Movimento 5 Stelle nel 2013, vide il risultato annullato a causa di una condanna in primo grado a due mesi e 20 giorni per rivelazione di segreto d’ufficio. Il motivo? Aveva fatto trapelare i risultati dei campionamenti dell’invaso del Pertusillo e denunciato, fuori dall’orario di lavoro, l’inquinamento delle sue terre. Anche dopo l’assoluzione di Di Bello, quando vennero chiesti chiarimenti a Luigi Di Maio, questi si appellò alle regole del Movimento, lasciando irrisolte molte questioni.
La sua scomparsa lascia oggi un vuoto per molti. Per altri, forse, è un’occasione per riflettere sulle decisioni prese, sulle mancanze e sulle direzioni sbagliate. Giuseppe Di Bello, però, mancherà a tutti.
E come chi ha agito sempre con la convinzione instancabile che le cose possano cambiare, mancherà ancora di più domani.