L’attacco al Consiglio d’Europa, reo di aver messo in discussione l’operato della Polizia italiana, è solo l’ultimo in ordine di tempo. Fa il paio con l’assalto nei confronti dei giudici, naturalmente tutti “comunisti” solo perché ancora osano applicare le leggi e ispirarsi ai principî-guida della Costituzione, con l’ingiunzione ai medici di denunciare chiunque dovesse rendersi responsabile di qualsivoglia forma di avallo nei confronti dell’utero in affitto, con lo scontro frontale con tutti i giornalisti che ancora non abbiano abdicato alla propria deontologia professionale e, udite udite!, credano persino nella validità dell’articolo 21 della nostra Carta; insomma, con la complessiva messa in discussione dello Stato democratico per come lo abbiamo conosciuto dal 25 aprile del ’45 in poi. Sarebbe opportuno, dunque, che non fossimo tra i pochi a scrivere che questo governo ha un serio problema con due capisaldi del nostro stare insieme: la democrazia liberale e la Costituzione. Se persino un’Europa in cui spopolano Orbán e i suoi fratelli (a proposito, piena solidarietà a Ilaria Salis e, come sempre, massimo sostegno), talvolta alza la testa e trova il coraggio di denunciare lo scarto esistente fra le norme comunitarie e il comportamento delle ministre e dei ministri italiani, significa che la misura è ormai colma.
Non staremo, dunque, qui a parlare di fascismo, deriva autoritaria e simili. Ci limitiamo a far presente che per democrazia, dal ’45 in poi, si intende quel sistema bilanciato in cui i poteri, rigorosamente separati, si rispettano e si controllano a vicenda, e se la Corte costituzionale emette una sentenza non lo fa in spregio alla volontà degli elettori ma nel solco dei valori comuni scritti in Costituzione, a cominciare dall’articolo 3, secondo cui “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge” e nessuno, meno che mai un rappresentante del popolo, può considerarsi legibus solutus. Se è quello il bersaglio, e qualche sospetto di tanto in tanto affiora, allora lo dicano apertamente. Se il problema è che siede ancora al Quirinale un uomo che di quella Carta intende essere il garante, anziché un mero notaio che assiste impassibile all’operato del governo, allora ce lo facciano sapere. Se vogliono trasformare la stessa Consulta in un avamposto della maggioranza, allora se ne assumano la responsabilità. Sfidino l’opinione pubblica, se davvero si sentono così forti da poter mettere in discussione le basi su cui si fonda il nostro vivere civile. Poiché speriamo seriamente che non sia così, poiché vogliamo ancora immaginare di essere di fronte a degli avversari e non a dei nemici, poiché pensiamo che anche a destra esista un pensiero costituzionale maturo e un rispetto delle fondamenta su cui si regge la casa che ci ospita, conservando la nostra illusione, ci sia consentito di rivolgere all’esecutivo l’appello di fermarsi.
Fermatevi prima che venga giù tutto e voi stessi veniate travolti dalle macerie che state seminando ovunque. Fermatevi prima che lo scontro istituzionale diventi lacerante. Fermatevi prima che l’Italia venga considerata persino da questa Europa una sorta di Grande Ungheria, ossia un paese inaffidabile e da porre ai margini, intorno al quale stendere un cordone sanitario affinché l’infezione non si propaghi. Consentiteci di credere ancora, come vorremmo più di ogni altra cosa, che si possa ragionare civilmente, che non sia in atto un’occupazione totale volta a esautorare il Parlamento e a non lasciar vivo nulla di ciò che esisteva prima, che la RAI possa essere ancora la casa di tutti gli italiani e non il megafono di una cattiva propaganda unilaterale, che almeno la Corte costituzionale sia risparmiata da questa furia e che nessuno si sogni di portare l’attacco al Colle, soprattutto qualora oltreoceano dovesse tornare Trump. Consentiteci, in poche parole, di celebrare l’ottantesimo anniversario della Liberazione, il prossimo 25 aprile, con la certezza che quella storia appartenga al passato e che a nessuno sia venuta voglia di rinverdirla.
Preferiremmo essere considerati dei coglioni piuttosto che dover fare i conti con la realtà che tante, troppe voci ci sussurrano, almeno fino a quando la realtà non dovesse irromperci in casa.
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