29 maggio 1453. Il mondo cristiano è sconvolto, traumatizzato. Deve essere stato molto peggio dell’11 settembre 2001 quel giorno. Guidati da Mehmet II gli ottomani, musulmani, conquistano Costantinopoli. Il sangue cristiano scorre a fiumi. La scena è apocalittica.
L’odio, la disperazione, la rabbia, conquistano il mondo cristiano – che sa del destino di tante donne e di tanti bambini di Costantinopoli, un destino terribile. Gli uomini di Mehmet II sono i figli di Satana… e si pensa a una guerra, a organizzare un’armata capace di riprendere la capitale del mondo, la Seconda Roma.
Un uomo però, un cardinale, l’intellettuale più grande del suo tempo, Nicola Cusano, si rinchiude nella sua residenza e dopo qualche settimana presenta la sua idea sorprendente: il De Pace Fidei. È impazzito? Cusano vi parla di un principio: religio una in ritum varietate. Scrive di aver sognato Dio chiamare i suoi figli a salire tutti insieme a Gerusalemme e lì sanare le loro dispute, che nulla hanno a che fare con lui. Gli uomini hanno sempre venerato l’unico Dio, con riti diversi.
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Un grande intellettuale arabo e musulmano ha notato che è quello che ha fatto Francesco recentemente a Singapore, dicendo: “Tutte le religioni sono percorsi per raggiungere Dio. Esse sono, per fare un paragone, come differenti linguaggi, differenti dialetti, per arrivare a quell’obiettivo. Ma Dio è Dio per tutti. Se tu incominci a combattere sostenendo la mia religione è più importante della tua, la mia è vera e la tua non lo è, dove ci porterà tutto ciò? C’è un solo Dio, e ognuno di noi possiede un linguaggio per arrivare a Dio. Alcuni sono sikh, musulmani, hindu, cristiani: sono diverse vie che portano a Dio”.
Così l’8 ottobre 2024, un anno dopo la chiamata alla guerra di sostegno a Gaza da parte di Hezbollah, angustiato, si sofferma sulle rovine nelle quali è immerso il suo mondo: il sangue arabo e musulmano scorre a fiumi. La scena è apocalittica. Sa del destino di tante donne e di tanti bambini di Gaza, un destino terribile. Da Beirut si è chiesto di organizzare una guerra, un’armata capace di riprendere Gaza.
Ora anche quella Beirut è in macerie, tutto il Paese è attaccato, non solo Hezbollah, le antiche sedi califfali di Damasco e Baghdad ridotte a brandelli, dimentiche del loro passato splendore, ricettacoli di miserie, morte e questuanti. Sente ovviamente crescere l’odio, la disperazione e la rabbia che conquistano il mondo musulmano davanti al trionfalismo israeliano che non propone un domani.
Così, guardando, constata che non serve a niente stabilire chi abbia cominciato, ma occorre respingere l’invito apocalittico del cosiddetto asse della resistenza khomeinista a Gaza, a Beirut, a Damasco, a Baghdad, che ha aggravato, non attutito, i torti e le sofferenze, ha umiliato non riscattato, ha aiutato in tutto il mondo il diffondersi di idee che ritiene simili e opposte a questa.
È grave, ma la scelta compiuta, armare la fede, rimane con tutto il suo peso: e non cede al sordo grido dell’odio, sogna invece – come Cusano – un congresso celeste. E in effetti: se nessuno ha un’idea di pace chi dovrebbe averla se non chi ha perso troppo?
Per lui la storia drammatica dei rapporti tra Occidente e Islam è la storia di un equivoco, l’incomprensione è tra Europa e arabi ed è esplosa con il colonialismo. La risposta non sta nel ritenere persa per sempre la speranza di un ordine liberale anche per il Medio Oriente, ma nel trovare il bandolo per proporlo a un Occidente, anche europeo, capace ai suoi occhi solo di offendere disumanizzando l’altro, ma di impedirlo evitando l’errore di fare altrettanto. Dunque gli errori degli altri non nascondono i propri.
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Così capisce che risolvere questo equivoco richiede di partire da chi è stato tirato nella disputa per aggravarla, renderla irreversibile: l’errore cavalcato dall’eresia khomeinista e prima di al Qaida – quello della militarizzazione della fede. Occorre smilitarizzare la fede non per arrendersi, non per essere vili, ma per porre il problema terrestre, la disputa umana.
E questa smilitarizzazione passa soltanto da un documento, che lui vede come la culla della sua rinascita, il Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi. Qui sente la sua fede riconosciuta come una delle manifestazioni del divino, e lui vi riconosce anche le altre.
Se si fa questo perché non riconoscere che la disputa umana va risolta? Così legge quel documento: “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”.
Il papa di Roma in questo documento ha sciolto l’equivoco, la lettura del mito di Babele è capovolta. La firma in calce al documento del principale teologo arabo musulmano, l’imam di al-Azhar, dà alta legittimità islamica al testo.
Così questo intellettuale arabo chiede di salire a Gerusalemme per l’incontro con gli altri, insieme a un lembo di tutte le sue macerie. Nessun altro ha un’idea, un progetto di pace. Lui sì: “Tutti i popoli hanno diritti a uno Stato, nessuna ideologia o teologia ha il diritto di negarlo agli altri”. I no diventano sì; sì alla pace, sì agli Stati, sì al disarmo delle fedi. Ora il problema è umano, sta gli uomini, agli altri uomini, rispondere.
Tutto questo può apparire un’astrazione, ma costui potrebbe trovarsi alla corte del principe saudita, il giovane Muhammad bin Salman. Pragmatico, interessato a una stabilità che gli consenta le sue ambiziose riforme economiche, perché non dovrebbe ascoltarlo?
È un arabo che origina nel grande Levante, che oggi si chiama Libano, Siria, Iraq. Una terra di tradizione cosmopolita che rischia una sua specifica deriva: il disfarsi degli Stati in entità confessionali compatte.
Ma anche a questa disperazione, alle porte, sa offrire un’alternativa: una sorta di Confederazione del Levante, che sostituisca governi dispotici o Stati inadeguati e che non funzionano con una visione unitaria e inclusiva.
Se Siria, Libano e Iraq non servono più chi ha detto che bisogna rifluire in piccoli ghetti comunitari e non guardare a una maggiore unità cosmopolita? Sarebbe l’unica strada chei cristiani avrebbero per restare una voce della cultura araba e risvegliare la loro migliore tradizione ottocentesca.
L’intuizione geniale di padre Paolo Dall’Oglio, una Siria che si fa federale per salvarsi dai ghetti in guerra tra di loro, forse rivive in questa visione più ampia: una confederazione da Beirut a Baghdad.
Fonte: https://www.settimananews.it/religioni/un-cusano-arabo/