La strage compiuta da Hamas il 7 ottobre di un anno fa è uno dei più orribili crimini contro l’umanità. Un massacro di innocenti il cui orrore non finirà di tormentare le nostre coscienze e occupare la nostra mente con il suo doloroso ricordo. Un’angoscia che si espande anche al pensiero degli ostaggi ancora in mano ai criminali e del cui destino la comunità internazionale sembra ormai disinteressarsi. L’orrore è continuato in questo terribile anno. L’orrore dei morti stritolati dalle bombe a Gaza, l’orrore dei bambini uccisi dentro le loro case nella striscia sotto l’assedio dell’esercito israeliano.
E’ un orrore che continua. Continua nella Cisgiordania dove avanzano i coloni e dove Israele prosegue la sua caccia ai terroristi. Uccidendo anche chi terrorista non è. Ancora una volta donne e bambini. E i giornalisti palestinesi, quei pochi rimasti in vita.
E’ un orrore che continua con l’avanzata dell’esercito israeliano in Libano. E’ un orrore che rischia di continuare ancora per molto, troppo tempo. Ogni giorno di guerra porterà con sé la sua drammatica conta dei morti innocenti. Come avviene in tutte le guerre.
La narrazione di questi drammatici 365 giorni è stata contrassegnata dall’enorme difficoltà di tanti colleghi nel distinguere la verità dalla propaganda per rendere a tutti noi un servizio oggettivo su ciò che avveniva. Lavoro di enorme complessità in mezzo a mille pericoli. E di questo lavoro dobbiamo essere grati ai nostri colleghi.
C’è un grande rischio, un rischio che corriamo tutti noi: abituarci ai morti. E’ ciò vorrebbero i fautori della guerra. Non abbiamo, come cittadini, molti strumenti per opporci alle bombe. Ma uno, molto importante, direi decisivo è quello di non perdere la nostra capacità di indignarci e soffrire per le vittime innocenti. Qualunque bandiera sventolino, qualunque religione professino, qualunque lingua parlino. La nostra resistenza alla guerra, come esseri umani, passa attraverso il rifiuto della “normalità” della morte. E delle parole proprie delle guerre, degli armamenti, degli eserciti.
La guerra non è mai normalità e non è mai inevitabile.
Perché abbiano fine le stragi, perché gli ostaggi, ancora vivi, possano ritornare alle loro case la soluzione non è l’estensione del conflitto. La soluzione è nel cessate il fuoco. La soluzione è nella ripresa del dialogo. La soluzione è nella parola Pace. L’unica parola che dobbiamo ancora pronunciare con forza. Oggi più che mai.