Come ha scritto Donatella Stasio, domenica sulla Stampa, stiamo assistendo inerti a un fatto inedito ma di una gravità inaudita. Il governo, infatti, vorrebbe mettere le mani sulla Consulta, facendo eleggere i quattro giudici che devono essere rinnovati da qui a dicembre senza concordare alcun nome con le opposizioni, esautorando di fatto la funzione di garanzia di un organo essenziale per il buon funzionamento dello Stato. La Corte Costituzionale, del resto, costituisce l’inveramento della Costituzione: è la base di un potere regolato, di quel sistema di pesi e contrappesi indispensabile per scongiurare qualsivoglia abuso e della tenuta di un assetto istituzionale che deve resistere nel tempo, senza conformarsi ai desiderata della maggioranza di turno.
La fase storica attuale, invece, sembra non prevedere più, in Occidente, lo schema che ha funzionato dal dopoguerra in poi. Basti pensare alla Corte suprema americana egemonizzata dal trumpismo. Basti pensare ai toni usati da alcuni leader politici e da non pochi commentatori all’indirizzo dell’ONU. Basti pensare al disprezzo che viene riversato ogni giorno contro le costituzioni anti-fasciste redatte dopo il diluvio bellico che aveva spazzato via l’incubo distopico di nuovi mondi che non ponevano al centro l’essere umano ma la brama di potere di despoti al servizio unicamente della propria sete di dominio. Spiace dirlo, ma stiamo tornando lì. Stiamo tornando progressivamente alla tirannide, nel silenzio di molti e nell’acquiescenza di troppi. E invece ciò che accade alla Consulta ci riguarda eccome. Non solo perché essa sarà chiamata a decidere sui referendum per cui abbiamo raccolto milioni di firme ma perché è un elemento essenziale del nostro vivere civile. Non c’è, infatti, democrazia senza organismi di controllo. Non può esistere un potere legibus solutus: non agisce mai nell’interesse della cittadinanza. Il punto è che in questa battaglia devono essere coinvolte attivamente le persone, facendo comprendere loro a quale rischio si stiano esponendo ignorando una deriva che potrebbe compromettere il buon funzionamento della casa comune. E attenzione: indietro non si torna facilmente. La tendenza attuale all’autoritarismo, a colpi di censure e bavagli, dissenso messo a tacere, manifestazioni vietate e organi di garanzia trattati alla stregua di sezioni di partito, la pretesa di avere ovunque dei meri esecutori di una volontà superiore, il crescente fastidio nei confronti di ogni voce critica, l’assenza di una battaglia parlamentare e nel Paese su questi temi, lo svuotamento dei luoghi di incontro e di condivisione e il rifugiarsi comune in un universo individuale, parallelo alla realtà, sono altrettanti sintomi di un degrado morale che non può lasciarci indifferenti.
Lo diciamo a chi, ancora una volta, ci accuserà di radicalismo ed eccessivo allarmismo: occhio, il prossimo passo è la Presidenza della Repubblica. L’ultimo baluardo rimasto a salvaguardia del nostro stare insieme si chiama Sergio Mattarella: caduto lui, magari in nome di una deriva presidenzialista che genera solo conflitti e malessere ovunque sia stata intrapresa, non sarà rimasto più alcun presidio democratico a tutela delle opposizioni. E una democrazia senza opposizioni, o con opposizioni ridotte alla caricatura di se stesse, come purtroppo in parte sta già avvenendo, può essere tale di nome ma non di fatto.
“I Care”, mi riguarda. Il prossimo 10 novembre ricorrerà l’ottantesimo anniversario della fucilazione, a Modena, di Giacomo Ulivi, giovane partigiano di diciannove anni. Nell’ultima lettera che scrisse ci lasciò in eredità uno straordinario testamento politico, di cui far tesoro oggi e sempre: “Non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere!”.
Questa è la differenza fra la democrazia e il fascismo, fra la pace e la guerra, fra i diritti e i privilegi, fra la dignità umana e la barbarie.
Prima sono stati esautorati i parlamenti, poi le corti, infine i punti di riferimento della collettività: non è una tendenza solo italiana, non è cominciata adesso, ma adesso forse comincia a essere chiaro, almeno a qualcuno, dove possa condurci questo degrado. Se scriviamo quest’appello è perché, per citare il pastore Martin Niemöller, autore di una celebre poesia tragicamente dimenticata, un giorno, quando verranno a prendere anche noi, sia rimasto almeno qualcuno a protestare.
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