Quando si arriva al punto di dare alle fiamme le tende degli sfollati, com’è accaduto a di Deir al-Balah, in quella che un tempo era la Striscia di Gaza e ormai è solo un cumulo di macerie, non esiste più nulla. Non c’è più umanità, giustizia, dignità, meno che mai la politica e nemmeno la guerra. Qui, infatti, non siamo di fronte a dei semplici crimini ma a un disegno ben preciso che prevede, ormai è sotto gli occhi di chiunque, l’annientamento di un popolo. Non a caso, persino l’amministrazione americana è giunta al punto di minacciare Israele di sospendere la fornitura di armi pur di mettere fine o, quanto meno, limitare la mostruosità in atto. Il punto è che non basta. Se davvero si vuole restituire Israele al mondo, bisogna difatti interrompere ogni relazione con quel paese fino a quando Netanyahu e i suoi ministri ne resteranno alla guida. L’Occidente dovrebbe ritirare in blocco gli ambasciatori, oltre ovviamente a interrompere la fornitura di armi, e le sanzioni più volte invocate in sede ONU dovrebbero diventare operative. È indispensabile, ribadiamo, restituire Israele al mondo, alla sua storia e alla sua dignità: è l’unico modo per salvarlo da un esecutivo che sta attirando addosso agli ebrei sparsi in giro per il pianeta un odio che nessuno merita e che rischia di provocare azioni esecrabili in stile 7 ottobre.
Scriviamo in occasione dell’ottantunesimo anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma: una data tragica sulla quale ci siamo sempre soffermati a riflettere. E siamo qui, ancora una volta, a interrogarci se questo sia un uomo. Ci domandiamo se possa essere considerato un uomo un padre che torna a casa e trova i propri figli sventrati, se possa essere considerata una donna una madre che abbraccia il proprio figlio ridotto a uno scheletro o dilaniato dalle bombe, se esista ancora qualcosa di fronte a persone bruciate vive come avveniva nei forni crematori dei lager nazisti. Alla luce di quanto sta avvenendo, è impossibile non denunciare l’orrore e non chiederne conto a chi lo sta compiendo. Nella storia, infatti, non esiste un solo olocausto: nemmeno ad Auschwitz venne massacrata una sola categoria. Insieme agli ebrei, furono uccisi omosessuali, disabili, oppositori politici e tutti coloro che non venivano ritenuti funzionali al disegno egemonico ed eugenetico del Reich hitleriano. Ebbene, qui siamo di fronte al dramma senza fine del popolo palestinese, di fronte all’abisso in cui è sprofondato il Libano, di fronte alla destabilizzazione permanente del Medio Oriente. Prendo in prestito le parole e la voce di Anna Foa, figlia di Vittorio, ebrea della diaspora, la quale ha posto la propria esperienza di vita e le proprie vicende familiari al servizio della causa dell’umanità, parlando apertamente di “suicidio di Israele” e spiegando con adamantina chiarezza che non si può rimanere in silenzio nel momento in cui dei personaggi screditati e pericolosi stanno gettando a mare le speranze e le prospettive della propria gente e dei popoli vicini.
Sul monumento situato all’ingresso del campo di concentramento di Dachau è incisa in trenta lingue una frase dello straordinario intellettuale spagnolo George Santayana: “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”. Proprio per questo, ben sapendo cosa sia accaduto ad Auschwitz e negli altri campi di sterminio, non possiamo e non dobbiamo restare in silenzio. Non c’è 7 ottobre o razzo di Hezbollah che tenga: non abbiamo mai taciuto su alcuna violenza ma non possiamo giustificare in alcun modo questa carneficina. Questa, difatti, non è una legittima difesa ma una mattanza. Privare un’intera popolazione degli aiuti umanitari, affamarla, assetarla e addirittura arrivare a bruciarla viva va al di là di ciò che sia lecito: in pace come in guerra. Va detto anche che, se siamo arrivati a questo punto, è soprattutto colpa del suprematismo occidentale, che prevede la sistematica accettazione della nostra ferocia in nome di una superiorità etnica che ricorda tanto il periodo che a parole diciamo di condannare. Qui, tuttavia, siamo andati oltre. Netanyahu, pertanto, dev’essere contrastato seriamente, se non vogliamo esporre Israele e l’Occidente alla reazione disperata di chi, non potendo opporsi in altro modo ai soprusi cui stiamo assistendo, non esiterà a sacrificare la propria stessa vita pur di farci patire un minimo delle sofferenze che sta patendo la sua gente. Fermare l’odio, fermare il martirio, sconfiggere la follia e ricordarsi che tra le fiamme di quelle tende stanno bruciando la memoria e la civiltà: non abbiamo altra scelta e siamo già in ritardo. Muoviamoci, dunque, prima che la storia ci dichiari complici di un inferno che rischia di mutare, assai in peggio, gli equilibri di quel che resta del mondo.